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sabato 3 dicembre 2011

Notte prima degli esami


Vi ricordate quelle serate estive lunghe, interminabili, subito prima dell'inizio delle vacanze,con l'ansia che dava quella continua sensazione di fastidio allo stomaco,con il classico caldo afoso bolognese che non dava tregua ed i pensieri tutti concentrati sull'ultimo sforzo:ultimi giorni di scuola, ultime interrogazioni, ultimi voti da conquistare per la media, la pagella e poi via,finalmente le vacanze!
Oppure quei giorni lunghi eterni, prima di un esame, magari uno di quelli estivi, uno degli ultimi, quando si è ormai stremati dall'anno appena trascorso, quando si vorrebbe solo finire, quando la stanchezza ci fa dire "qualsiasi voto purchè passi,purchè non debba più riaprire questi libri!"
Va bè...sto un po' esagerando, non sono mai stata così ansiosa, non per i voti o gli esami, non ho mai avuto problemi di voti o di esami, ma l'ansia non dipende, solo, da quello. L'ansia, un po' c'è, sempre e comunque. In fondo non è cosi piacevole essere giudicati, no? Avete presente la sensazione di attesa, di ansia per un giudizio che dovete ricevere...
Ecco non finisce tutto con l'università!i giudizi ci sono anche nel lavoro, come dappertutto, ma non mi aspettavo che a dicembre del mio primo anni di lavoro avrei ricevuto la pagella!
Si, non un giudizio così, informale, ma una vera e propria pagella fatta dalla responsabile del progetto a cui lavoro, e non solo per i neoassunti come me, ma per tutti!
Si chiama scheda di feedback e non pagella, ma il concetto è quello,e da questa scheda dipendono promozioni e aumenti...un vero sistema meritocratico - almeno in apparenza, poi si vedrà. E come al solito un po' di ansia c'è. Sono andata bene, lo so, ma cosa avrei ootuto fare di più, cosa si sarebbero aspettati di più da me, quali avranno individuato come miei punti di debolezza??
E come per qualsiasi fine quadrimestre che si rispetti, mi ritrovo ora a lavorare di più, a fare tardi per finire le cose, a non poter sbagliare nulla, in fondo ho sempre avuto la media dell'8, non vorrei rovinarmi la media proprio ora!

sabato 19 novembre 2011

Oggi lavoro da me

Sono contenta di lavorare. Sono consapevole di essere una privilegiata ad aver trovato lavoro cosi presto, dopo la laurea. Sono felice del lavoro che ho trovato ed ho voglia di mettermi in gioco, di trovare la mia realizzazione nel lavoro. Dopo questa premessa non poteva non saltare fuori un però... Ed infatti c'è. Sono contenta del mio lavoro, però, tutte le mattine quando sento la sveglia, penso che i miei prossimi 40 anni (chissà forse pure di più) saranno regolati da questi ritmi. Che la mia sveglia suonerà inesorabile, dal lunedì al venerdì, tutte le mattine, e che io, volente o nolente, non potrò spegnerla e girarmi dall'altra parte, ma dovrò alzarmi ed iniziare un'altra giornata di lavoro. Otto e molto spesso più ore chiusa nel mio ufficio, davanti allo schermo del computer, moltiplicato per più di 200 giorni, moltiplicato per una quarantina d'anni... Fa un sacco di tempo, e a volte questo pensiero mi lascia un po' sgomenta!
È bello lavorare, ma a volte mi chiedo se non sarebbe più bello farlo nella propria casa, con i propri ritmi e con i propri spazi. Cioè quanta gente va in ufficio tutti i giorni senza che ce ne sia realmente il bisogno? Serve essere tutti concentrati nello stesso spazio e nello stesso arco della giornata per lavorare bene?
Per alcuni lavori è sicuramente necessario, anzi imprescindibile. Gli uffici con relazioni con pubblico e clienti, alcune mansioni che è necessario fare in gruppo, il professore che deve fare lezione in aula e il medico che deve visitare all'ospedale. Ma in quanti casi non sarebbe necessario? Il mio è un lavoro il più delle volte "solitario", a parte quando sono dai clienti, o quando ho riunioni con i colleghi, lavoro per conto mio, e potrei essere ovunque a farlo. Grazie alle mail, a skype e ai telefoni capita già ora di lavorare in rete da uffici diversi senza bisogno di spostarsi, e allora perchè non incentivare il tele-lavoro?
Si parla tanto di flessibilità del lavoro, ma perchê in Italia questo si è tradotto quasi solo in precarietà? Un lavoro flessibile non dovrebbe anche essere un lavoro che si adatta alle esigenze diverse dei diversi lavoratori?O dobbiamo avere il massimo rischio, minimi diritti e neanche la possibilità di organizzare la nostra vita e gestire il nostro tempo di lavoro?
Il tele-lavoro in Italia esiste già ma è un po' una bestia rara...come il congedo parentale per i padri. Si c'è, dovrebbe essere un diritto, ma in fondo chi usufruisce di questa possibilità?il rischio non è quello di essere "bollati" come nullafacenti, disinteressati al lavoro, poco disponibili, ed avere cosi la carriera bloccata?
Sarei più produttiva a lavorare in pigiama, con la mia tazza di tisana a fianco e cucinando nella mia cucina per pausa pranzo?
Secondo me si. Magari non tutti i giorni, magari non quando ci sono riunioni o impegni in loco, ma sarebbe bello poter autogestire il proprio tempo, anche quello lavorativo due o tre giorni a settimana.
Chissà. Ora sono una neoassunta e forse è un po' presto per fare rivendicazioni, ma inizio a pensarci e magari prima o poi lo farò!

lunedì 31 ottobre 2011

La difficoltà di avere un sogno

Inseguire i propri sogni è sempre stato difficile. 
Ma nel 2011, per un giovane, magari per una donna, in Italia, lo è ancora di più. Siamo in una situazione così precaria e difficile che a volte, trovare un lavoro, anzi un lavoretto temporaneo, viene quasi vissuto come una sfiga. 
è un paradosso, eppure è così. è così perchè siamo una generazione sotto ricatto, perchè non abbiamo nessun potere di scelta, perchè siamo consapevoli della situazione tragica che ci circonda. In un contesto così è tutto più difficile, e tutti noi sappiamo che, un lavoro che avrebbe dovuto essere temporaneo, un lavoretto per pagarsi gli studi, o semplicemente un lavoro che non ci piace, rischia di diventare, per forza, il lavoro che faremo tutta la vita, perchè non abbiamo la possibilità di mollarlo, di continuare a cercare, perchè il ricatto della disoccupazione è troppo alto, perchè questa crisi ci ha tolto anche la voglia di coltivare i nostri sogni. 
E quindi, a volte, per rimanere aggrappati tenacemente a quello che si vorrebbe fare, a quello per cui si è studiato, si spera quasi di non trovare nient'altro, di non finire a fare un lavoro di ripiego che tarperebbe le nostre ali. è un paradosso, eppure chi, in questo momento, avrebbe il coraggio di fare una scelta così?da una parte la certezza di uno stipendio che ti fa andare avanti, che ti fa sentire grande ed autonomo, e dall'altra il niente, un sogno. Chi non si accontenterebbe? Chi non si sentirebbe male a rinunciare ad un lavoro sicuro? E chi, in fondo, non penserebbe di pentirsi poi, per tutto il resto della sua vita, di questa scelta obbligata? Davanti a dilemmi così a volte è più facile sperare di non dover fare una scelta, di non rimanere incastrati.
Siamo una generazione cresciuta a suon di film americani, tutti concentrati sull'essersi fatti da soli, sulle capacità di riniziare, di farsi una vita ed una carriera dal niente, bastava avere meriti e convinzione.
Ci è stato insegnato ad essere testardi, a scegliere una strada e a perseguirla. Ci è stato insegnato che tutti hanno le stesse possibilità, che anche l'operaio può avere il figlio dottore. I nostri cugini più grandi ce l'hanno fatta. Sono cresciuti nel nostro mondo, con i nostri stessi miti, i nostri stessi film e canzoni, i nostri stessi valori, ma sono entrati nel mondo del lavoro 5, 6, 7 anni prima di noi. Ere geologiche praticamente. Il loro merito è stato quello di essere nati prima. E loro ce l'hanno fatta. Vivono da soli, lavorano, hanno successo, hanno contratti che per noi sono un'utopia, hanno avuto la possibilità di costruire qualcosa.
Abbiamo visto alla ricerca della felicità, e pensavamo che fare un po' di lavoretti temporanei in attesa del raggiungimento del grande sogno, come fa Will Smith, fosse normale, anzi dimostrasse la nostra capacità di cavarcela. è ancora così? Non sono più sicura che sia così negli States, figuriamoci qui, dove anche nei tempi migliori non partivamo tutti con le stesse possibilità.
Ci hanno insegnato a sognare e ora bruscamente ci hanno svegliato. Ora non potete meravigliarvi se abbiamo paura di scegliere, se piuttosto che uccidere i nostri sogni con le nostre mani preferiremmo mettere la testa sotto il cuscino.
E quando ci si sveglia la mattina, e le notizie sono queste come si fa a non essere sempre più indecisi su che strada prendere?

sabato 29 ottobre 2011

Il pollo di Trilussa

Ve la ricordate la poesia di Trilussa sulla statistica


"da li conti che se fanno/seconno le statistiche d'adesso/risurta che te tocca un pollo all'anno:/
e, se nun entra nelle spese tue,/t'entra ne la statistica lo stesso/perch'è c'è un antro che ne/magna due"

Il discorso dei polli vale un po' per tutto... i polli, i soldi, le tasse, le lauree e anche il lavoro. 
Quando si lavora in gruppo infatti è difficile spartire equamente i risultati: è il bello e il brutto del lavoro di squadra. Tutti lavorano, tutti si impegnano, se i risultati sono buoni c'è soddisfazione per tutti, e se non sono buoni è più facile affrontare le delusioni e le batoste. Questo succede se tutti lavorano nello stesso modo, o per lo meno al loro meglio. Ma se ci sono dei free riders? Eddai, siamo in Italia, vogliamo credere che non ci sia nessuno che se ne approfitti del lavoro collettivo per adagiarsi e non fare nulla? In modo così plateale non mi è ancora successo, ma ultimamente mi è capitata la spiacevole sensazione di essere usata come "quella su cui fare scaricabarile". Si fa un lavoro di gruppo, si è sotto stress, ci sono scadenze, ci si dividono i compiti e... la divisione dei compiti non è mai paritaria. è una questione di pigrizia o è una questione di formazione? è perchè tutti cercano di approfittarsene o è perchè sono la nuova arrivata e devo imparare, devo formarmi e devo farmi valere? In fondo avere tanto lavoro significa che in ufficio mi stanno coinvolgendo, che forse iniziano a fare affidamento su di me. E poi dai, le matricole, da sempre e in qualsiasi ambito, a scuola, all'università, in qualsiasi sport, devono lavorare duro per dimostrare il loro valore! è solo un po' di gavetta o è che, come al solito, sono troppo buona?
Inizio a pensarci. Finora non è successo niente di plateale, né eclatante, né nulla di particolarmente scorretto, ma alla seconda persona che "ribaltava" su di me un suo incarico, mi è suonato un campanello d'allarme. 
Non ho detto no a nulla. In fondo devo far capire che sono una tosta. Mi sono portata anche i compiti a casa, per più di una sera e per più di un week end. E in fondo sono contenta di farlo, prima di tutto perchè lavoro e il mio lavoro mi sta piacendo e poi perché so che è l'inizio e che ci sta. Ma.. forse anche le matricole ad un certo punto devono imparare a dire di no. O forse semplicemente devo trovare qualcuno che nella grande catena alimentare del lavoro sia sotto di me, uno stagista insomma, su cui fare un po' di sano scaribarile anche io, ma solo per il suo bene, ovviamente!

sabato 15 ottobre 2011

Inverno..che fare?

Ok, lo so che ci sono altri problemi al mondo, lo so che sto iniziando ad essere abbastanza monotematica, e che parlo solo di vestiti e di moda da ufficio, ma con il cambio di stagione ho ripreso le mie vecchie e mai sopite paranoie sull'abbigliamento. 
In fondo non è neanche così strano.. ci ho messo circa 25 anni a trovare uno stile che fosse mio, che mi soddisfacesse, che mi stia bene ecc ecc, e ora devo completamente riadattarlo perchè per 5 giorni su 7 non è più adeguato. E così, in abiti da ufficio, mi sento sempre bruttina e pochissimo stilosa, molto poco originale ed un po' sciatta. In fondo non è che bastano una camicia ed una giacchetta. Per essere fighe anche in ufficio ci vuole un po' di tempo, un po' di buon gusto e tanti tanti soldi da investire per rivoluzionare il proprio armadio. In fondo lavori, si presume che tu abbia un po' più di disponibilità economica e che comprare una giacca da Max and Co. non dovrebbe essere (più) proibitivo.
E poi... ogni tanto mi mancano le nozioni fondamentali. Ma voi lo sapevate che nei tailleurs è obbligatorio mettere la cintura?Soprattutto per gli uomini, pare, in realtà. Io non ci avevo mai riflettuto, eppure l'ho imparato quando ho sentito due colleghi deriderne un terzo per come era vestito... e la sua grave pecca era non avere la cintura. 
Per ogni settore ci sono delle regole. Anche la moda consulenti autunno/inverno 2011 ha le sue, e sarà meglio restare aggiornati, non vorrei essere io la prossima ad essere criticata!
Il mio grande dubbio riguarda ora le scarpe, e quasi quasi lancio un sondaggio online per sapere che fare e ricevere un po' di consigli...
Visto che non ho mai lavorato in inverno, perchè il mio primo lavoro l'ho trovato in primavera, sono un po' indecisa su quale sarà il mio abbigliamento per i prossimi freddi mesi. Soprattutto per il settore calzature, appunto. Abbandonati i sandali e le ballerine, che mi hanno accompagnata in primavera ed in estate, cosa mi rimane?
La mia scarpiera prevede, oltre alle scarpe estive, solo All Star, Stivali e un vecchissimo paio di Dr. Martens, e mi sembrano tutte un po' inadeguate. Gli stivali?carini, alcuni anche eleganti, ma ce li vedete voi con il tailleur? Le All Star, le adoro, ma ormai sono relegate ai week end. Le ballerine con i calzettoni? Le scarpine con il tacco, che poi non ho aderenza e scivolo sul ghiaccio? ma per carità! 
Credo allora che il mio piano geniale sarà resistere al freddo e alla pioggia un giorno in più rispetto agli altri, anzi alle altre. 
Aspetterò il cambio di armadio delle colleghe, le osserverò, capirò qual è la scarpa giusta e mi precipiterò fuori dall'ufficio a comprarla anche per me. Ecco. Devo solo resistere ancora un po'.

domenica 2 ottobre 2011

Tempo di trasferte

Dopo il mio ultimo trasloco in treno (vi ricordate la mia valigia da 50 kg su e giù dal treno?) pensavo, e speravo, che non sarei più salita su un treno per un bel po' di tempo, e invece al lavoro è iniziato il tempo delle trasferte. E così, anche se lavoro nella mia città, il mio destino continua ad essere quello di prendere un treno almeno un paio di volte a settimana, per grande gioia di Trenitalia. 
Anche se, ora che prendo il treno per lavoro, è un po' meglio. Mi pagano la trasferta e mi rimborsano il biglietto, certo, è faticoso lo stesso, ma alla sera sono di nuovo a casa. 
Ma a parte questo, viaggiare per lavoro o viaggiare autonomamente è uguale? 
Ho iniziato a chiedermelo e a farmi un po' di domande. Ci avete mai riflettuto? Tipo, se sono in trasferta, quando inizia il mio orario di lavoro? Durante gli spostamenti, in treno in questo caso, è come se fossi in ufficio o è come se fossi in macchina per andare in ufficio? A prima vista non sembrano domande interessanti, eppure per una come me, che è stata abituata a viaggiare sempre e solo con cibarie, lettore mp3 e libri al seguito, sono temi importanti. In treno, se ci vado per lavoro, posso leggere un libro, posso ascoltare la musica, posso mangiare barrette kinder, giocare a puzzle bubble sul cellulare o anche ingubbiarmi, come ho sempre fatto, o devo comportarmi come se fossi in ufficio? O è ammesso solamente che io legga il sole 24 ore, che usi il computer o che parli di lavoro, o posso anche chiacchierare in libertà con i colleghi?
Alle prime esperienze di lavoro capita anche di farsi queste domande, tutto è nuovo e tutto è potenzialmente problematico, e ci sarebbe bisogno di un manuale di istruzioni per ogni cosa, anche su come comportarsi in treno! 
Per ora mi sono trattenuta. Nonostante le alzatacce sono sempre riuscita a non abbioccarmi, e chi mi conosce sa che è stato un grande sforzo, nonostante la mia foga di lettura, non ho mai tirato fuori dalla borsa uno dei miei romanzi e mi sono concessa solo qualche pagina di Repubblica. 
Certo. Anche in questo ambito sto solo cercando di prendere le misure al mio capo, ai miei colleghi e alla mia società. Poi appena mi sentirò abbastanza sicura ed integrata, rinizierò a viaggiare con le mie borse giganti, pronte a contenere tutto l'indispensabile per i viaggi: una bottiglietta d'acqua, una confezione di tuc, un po' di cioccolata, il lettore mp3, un libro o due. Altro che viaggio di lavoro. Un viaggio in treno è sempre un viaggio in treno, e io li affronto sempre così.

lunedì 19 settembre 2011

Posso avere il pacchetto completo?

Si dice sempre che è difficile conciliare i tempi di lavoro e i tempi della vita privata, soprattutto per le donne. Pensavo che fosse vero, ma che fosse un problema prevalentemente di mamme e mogli, e invece mi rendo sempre più conto di quanto sia vero anche in altre età, e inizio a chiedermi come farò quando avrò una casa mia o una famiglia, se già adesso mi sembra di avere poche ore a disposizione.
In questo ultimo periodo ho riempito il mio monte-ore giornaliero con lavoro, nuovo, e impegni politici o legati al consiglio comunale, lavoro/volontariato nelle cucine della Festa dell'unità, che è stata come un secondo lavoro per più di tre settimane e quel minimo di impegni sociali necessari per non farsi rinnegare da amici e ragazzo. 
E dire che a Roma mi lamentavo di avere una vita legata solo al lavoro, senza nessun altro impegno o hobby! E dire che sono tornata a Bologna sostenendo che non avrei avuto problemi a lavorare 10 ore al giorno, un po' perchè ci ero abituata, un po' perchè pensavo che qua sarebbe stato più facile, nonostante gli orari duri in ufficio, continuare a mantenere i miei impegni, le mie passioni e la mia vita sociale. Bè ed in effetti credo che ci riuscirò, ma non mi rimarrà neanche un minuto libero!
E allora inizio ad interrogarmi...se dovessi anche fare la spesa, lavare, cucinare e stirare, anche solo per me, se vivessi sola, come farei? Sarei costretta a passare i miei week end fra lavatrici e stendini o dovrei per forza rinunciare a qualcosa? E' possibile avere il pacchetto completo lavoro+altre attività+vita sociale+famiglia, o come nelle offerte di Sky si deve rinunciare almeno a qualche canale?
In altre parole, come fanno le donne a fare tutto? Questo è un fenomeno che la scienza non è ancora riuscita a spiegare, eppure va avanti da secoli, e tutti ci si interrogano.

L'ultima riflessione sul tema viene dal film "Ma come fa a fare tutto?", commedia brillante con un'inusuale (per noi ragazze abituate a vederla single modaiola in Sex and the City) Sarah Jessica Parker mamma manager. Il trailer sembra divertente. E visto che non è la prima volta che in questo blog mi cimento con delle recensioni ( http://bloginfuga.blogspot.com/2011/04/ansia-da-prestazione.html ), prometto che al più presto arriverà anche questa...sempre che riesca a trovare una sera in cui farmi portare al cinema!

venerdì 9 settembre 2011

Dimettersi è dura..

L'avevo già annunciato prima delle ferie, ho trovato un nuovo lavoro e ho dato le dimissioni, ma non pensavo che dare le dimissioni sarebbe stata una prova così difficile, quasi più complicato che superare i mille livelli di test e colloqui per essere assunti.
Ma perchè dimettersi è stato così difficile? Non è stato solamente il fatto che avevo un po' timore di dare la comunicazione al mio capo, persona che stimo e con cui mi sono trovata bene, né ai colleghi, con cui ho legato fin da subito. E non è stato neanche il fatto che avevo paura di essere considerata una "traditrice" dal resto del gruppo per questo prematuro abbandono. No, tutti sono stati comprensivi e felici per me, un po' tristi per la mia partenza, ma tutti hanno capito le mie motivazioni. 
Non è stato il dilemma etico-morale con cui i miei amici mi hanno un po' preso in giro durante queste ferie "ma come, con la crisi che c'è, con i disoccupati che aumentano, con molti di noi che stanno facendo fatica a trovare lavoro, tu ti licenzi????", anche se in effetti ho un po' pensato anche a questo. 
La cosa più difficile è stato proprio capire come darle, le dimissioni, letteralmente, cioè in che tempi, con che mezzi, rispettando quali scadenze ecc ecc. E, nonostante studi ed approfondimenti su internet, nonostante i consigli del capo, nonostante la consulenza di un amico che si occupa di questo, nonostante io abbia letto almeno 5 volte il mio contratto, ho comunque sbagliato la modalità di trasmissione delle dimissioni, e ieri, un giorno prima della cessazione del mio rapporto di lavoro, mi hanno telefonato dall'ufficio risorse umane. 
Io credevo avessero bisogno di accordarsi per lo svolgimento delle attività di fine rapporto e invece mi hanno gelata "Buonasera, a noi non risulta che lei abbia dato le dimissioni". Il tutto detto con un orrido accento milanese e con un tono veramente sgodevole. Panico. Terrore. Scoraggiamento. Ma sarà possibile che a 25 non sono neanche in grado di dimettermi per bene??? Possibile che questi perfezionisti delle multinazionali abbiano sempre da ridire su tutto, anche su come ci si dimette? 
Per farla breve avevo mandato la raccomandata con la lettera di dimissioni, l'avevo mandata nei tempi giusti, era stata ricevuta, eppure l'ufficio centrale di Milano non ne sapeva nulla.
Errore mio che avrei dovuto mandarla anche là?
Errore dei romani che non l'hanno inoltrata ai colleghi milanesi? Ancora non l'ho capito.
E così fino a stamattina ho temuto che ci sarebbero stati problemi, che mi avrebbero incatenata in ufficio e che non avrei potuto iniziare il nuovo lavoro lunedì. 
E invece alla fine ce l'ho fatta. Ho riconsegnato il pc, ho salutato tutti, ho mandato le ultime mail e archiviato tutto il mio materiale, ho fatto le valigie e ho preso un treno, spero l'ultimo per un bel po'.
E' stata dura ma sono anche riuscita a dimettermi, ed ho imparato la lezione: la lettera di dimissioni è sempre meglio consegnarla a mano, e dimettersi durante il periodo di prova, senza obbligo di preavviso, è molto più facile!!!

mercoledì 7 settembre 2011

giovedì 1 settembre 2011

Voglio il mio riscatto!

Si avete letto bene: voglio il mio riscatto, ma non sono entrata a far parte dell'anonima sarda...vorrei solo la possibilità di riscattare, pagando, i miei anni di studio a fini pensionistici.
Forse non tutti i ragazzi giovani ci pensano per tempo, forse la pensione non è un argomento di conversazione per ventenni e sicuramente passerà ancora molto, troppo, tempo prima che la prospettiva della pensione sia reale per qualcuno della mia generazione. Tutto questo è vero, ed è anche vero che i ventenni e i trentenni di oggi hanno ben altri problemi ora, in primis trovare un modo per iniziare a lavorare, non per ritirarsi dal mondo del lavoro. 
E' ovvio quindi che le pensioni e la loro riforma non sia il primo pensiero della lista dei giovani. Eppure forse dovremmo pensarci un po' di più, o almeno stare attenti, e molto, a cosa sta accadendo in Italia in questo periodo, perchè non ci stanno rubando solo il futuro, la possibilità di realizzare i nostri sogni, di coronare le nostre ambizioni lavorative, di costruirci una casa ed una famiglia, ma ci stanno anche togliendo la possibilità di avere una vecchiaia serena e tranquilla.
E forse, ancora più grave, stanno attaccando ancora una volta chi ha studiato, chi ha fatto sacrifici per frequentare l'università, chi ha lavorato sodo, chi ha stretto i denti pensando che quello sforzo sarebbe stato ripagato, chi ha creduto di potersi costruire un avvenire brillante con le proprie capacità e con le proprie ore di studio. Ragazzi, era tutta una bufala, studiare è inutile e dispendioso, e quando arriverete a 60 anni continuerete a pentirvene perchè chi ha iniziato a lavorare a 18 anni sarà, forse, un po' più ignorante di voi, ma sicuramente avrà una pensione più alta e potrà anche smettere di lavorare prima. 
Il riscatto è, o meglio era, questo, un incentivo allo studio - non ti preoccupare hai studiato 5 anni in più di alcuni tuoi coetanei, ma noi quegli anni te li riconosciamo lo stesso, se versi un po' di contributi - e anche e soprattutto il riconoscimento del fatto che studiare fosse un lavoro socialmente utile. Studiando e formandosi si fa bene allo Stato e ai cittadini, quindi perchè lo Stato dovrebbe penalizzare chi studia?
Perchè lo Stato non riconosce che per un medico, un ingegnere, un economista, un avvocato, e si anche per un politologo, per un umanista, per uno storico, studiare è un lavoro che dà poi benefici a tutta la collettività? Ufficialmente anche questo governo sostiene che la cultura e la formazione siano importanti, non soltanto per il valore intrinseco che hanno, ma anche per l'economia e lo sviluppo del paese, eppure continuano a disincentivare chi studia, e soprattutto a non dare dignità né valore agli studi.
Sei una ragazza e hai studiato? sei molto ingenua mia cara, potevi puntare tutto sul tuo aspetto fisico, se sei abbastanza carina, o perlomeno cercare di accalappiare un ricco evasore fiscale, avresti vissuto molto meglio, anche senza conoscere Socrate, né Omero, né Virgilio, né Dante, né il diritto comunitario, né i sistemi elettorali, né la storia delle relazioni internazionali, né perché questo povero paese per crescere avrebbe bisogno di puntare sull'ingresso delle donne nel mondo del lavoro.
E per fortuna che da piccola non ho mai giocato molto al dottore, se avessi avuto la malaugurata idea di iscrivermi a Medicina, ora avrei perso 10 anni a studiare, e non soltanto 5. 

A proposito di questo, ecco cosa ne pensa Ilvo Diamanti, sulla Repubblica di oggi

"... la cultura rende liberi, critici e consapevoli. Ma oggi non conviene. Si tratta di vizi insopportabili. Cari ragazzi, ascoltatemi: meglio furbi che colti!..."

O per dirla con uno slogan dello scorso autunno di protesta nel mondo universitario, ci vogliono stupidi e sudditi, noi saremo intelligenti e ribelli. Forza ragazzi, continuiamo a studiare!
E nel frattempo....


domenica 28 agosto 2011

Male di fine estate


Il conto alla rovescia è praticamente terminato. 
Quattro settimane di ferie sembrano lunghissime, ma, in realtà, fanno molto in fretta ad esaurirsi.
E così ci si ritrova da capo, una domenica sera, che torna ad essere la sera prima del lavoro, e non più un giorno qualsiasi.
Alcune ore di treno, una cena, magari un film in streaming e un po’ di ore di sonno sono le uniche attività che mi separano dalla fine ufficiale della mia estate 2011.
E come quando andavo a scuola mi ritrovo  a pensare a come avrei potuto impiegare meglio queste quattro settimane di libertà totale, a cosa avrei dovuto fare, a cosa non ho fatto, a quanto come al solito il tempo sia tiranno e scorra troppo veloce. Come spesso mi succede sono in treno, due lunghe ore di viaggio, e ripenso al viaggio di andata, esattamente un mese fa, e a quanto ero felice di tornare a casa e di avere tutta l’estate, che in quel momento mi sembrava un tempo così lungo e senza fine, davanti.
E invece le giornate passano, e si arriva inevitabilmente alla sera prima.
E la sera prima si cerca disperatamente un modo per far passare il tempo più lentamente, si cerca di assaporare ogni istante, ma in realtà si è già proiettati al giorno dopo, si ripensa alle vacanze con un misto di rimpianto e nostalgia.
Come sarà il ritorno al lavoro? Un lento e graduale rientro, o una full immersion shoccante e traumatica? In ogni caso domani a quest’ora starò già rimpiangendo le ferie passate, e forse iniziando a calcolare quanto manca al primo ponte. (anche se pare che i ponti ormai siano in via di estinzione… ci vogliamo mettere anche questo nella lista del perché la mia generazione è sfigata??)
È dura ammettere che l’estate è finita e che inizia un nuovo anno, che le prossime vacanze sono lontane, anzi lontanissime, e che d’ora in poi la sveglia che suona ogni mattina sarà una fastidiosa certezza. Dura tornare alla realtà, e alla faticosa routine quotidiana, soprattutto dopo un’estate intensa e meravigliosa (anche se la più corta della mia vita), piena di viaggi esotici e un po’ lussuosi, amici, amore, casa e soprattutto passata con la serenità di chi sa che è appena riuscito ad incastrare tanti pezzettini difficili di un puzzle. La mia estate a cavallo fra il mio primo e il mio secondo lavoro è passata.    

A meno che io non convinca la mia mamma che ho male alla pancia e lei domani mi faccia stare a letto. Dai mamma, almeno un altro giorno, un giorno solo, e poi giuro che a scuola ci torno e che sarò bravissima. Ma domani posso stare a casa???

mercoledì 24 agosto 2011

Il potere delle radici

"le radici sono importanti, nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove.."


Poco più di due anni fa, in un inizio agosto caldo come questo, i miei pensieri erano tutti rivolti alla mia imminente partenza per Bruxelles. Erasmus. 
Nelle mie giornate di ansia pre-partenza, un'amica mi scrisse questo sms, per spronarmi, rassicurarmi, caricarmi. Nonostante le mie saldissime radici a Zola Predosa, Bologna, era ora di partire e spostarmi un po'. In realtà avevo, in parte già iniziato, con un primo spostamento oltre Appennino, per frequentare l'università a Firenze, ma abbandonare il mio paese per l'estero, per quasi un anno, mi sembrava un'impresa grande e difficile. Come al 99,9% degli Erasmus, poi, andò tutto bene, meravigliosamente, e forse per caso, forse perchè mi ero ormai abituata, ho continuato, anche dopo, a fare un po' la trottola. Gli ultimi tre anni mi hanno vista così in diverse città e paesi, con nuove case e nuove stanze, insieme a coinquilini collaudatissimi e a perfetti sconosciuti, senza mai abbandonare il mio pendolarismo di fondo, per tornare alla mia base, con grande gioia di Ryanair e di Trenitalia. Firenze, Bruxelles, Firenze e poi Roma, senza mai dimenticare le mie radici, ben salde e profonde a Bologna. Come previsto dalla mia amica, nonostante le paure iniziali, le mie gambe si sono mosse e hanno camminato per un po' in strade diverse, da via Circondaria a rue du Trone, ma alla fine, anche loro, come me, volevano tornare a percorrere i cammini del passato. 
Le radici si sono fatte sentire e mi hanno richiamata indietro. Sarà perchè ormai mi sento grande e stanca della vita da fuorisede? sarà perchè voglio iniziare a trovare la MIA casa, e non più solo la mia stanza? sarà che la mia famiglia, il mio ragazzo e quasi tutti i miei amici sono qui a Bologna (e a questo punto spero che anche le loro gambe si fermino un po' su queste terre)? sarà che quando ero in giro per l'Italia e per il Mondo mi sentivo sempre così orgogliosa di appartenere a questa terra? 
E così alla fine le radici hanno avuto la meglio anche sul lavoro. Tenacemente mi hanno spinta a cercare, fare colloqui, presentare domande, per qualsiasi cosa, purchè a Bologna, e, alla fine, ce l'hanno fatta.
Avrò fatto bene ad ascoltare le mie radici, e forse un po' meno la mia razionalità, che mi diceva che il lavoro che avevo trovato a Roma era il meglio che potessi avere il questo momento?
Avrò fatto bene ad abbandonare il mio primo, prestigioso, lavoro - una Big Four, mica scherzi - per accettare la prima proposta minimamente all'altezza che ho ricevuto a Bologna, e forse non esattamente nel mio campo?
Fra un paio di settimane lo scoprirò, affronterò l'ennesimo primo giorno (dopo tanti primi giorni di scuola siamo passati all'era dei primi giorni di lavoro) e cercherò di capire se ho scelto bene. 
Nel frattempo la mia amica, che mi mandava sms rassicuranti per spronarmi a partire due anni fa, ora dovrebbe trovare adeguate citazioni che mi facciano capire di aver fatto la scelta giusta!

venerdì 5 agosto 2011

Chiuso per Ferie

Dopo le ultime settimane, intense e piene di cambiamenti, traslochi e decisioni (forse) epocali, arriva finalmente il momento di staccare la spina, anche mentalmente, cambiare aria e rilassarsi.
Lunedì si parte e sono pronta a godermi le meritate vacanze, e a dedicarmi solo a turismo, mare, buon cibo e tanto shopping al Gran Bazar di Istanbul. 
Sono in ferie e non voglio pensieri.
Anche se. Anche se è difficile non pensare, anche se l'estate è relax, ma quando si ha tanto tempo libero ci si arrovella di più, anche se a settembre mi aspettano tante cose nuove e sarà inevitabile pensarci almeno un po', anche se vado in un paese nuovo e chissà cosa scoprirò e su cosa rifletterò.



Il Blog è, da oggi, ufficialmente, chiuso per ferie. Mi prendo l'ultimo weekend per finire alcune cose in sospeso, valigie, check in, una lettera di dimissioni ancora da spedire, e poi si parte.
Vorrei scrivere di quanto sia bello essere in ferie dopo alcuni mesi di lavoro, di quando io stia assaporando ogni momento libero, di quanto mi godrò queste imminenti vacanze, ma preferisco godermi la pace del giardino di casa mia e il cazzeggio.
Vado in Turchia e mi aspetto di scoprire tante cose nuove, e perchè no, di venire in contatto con nuove storie e  nuove esperienze, e di capire un po' là che aria tira, soprattutto per la nostra generazione. 
Per ora ho scoperto che il PIL turco cresce a ritmi sostenuti (+ 11% nel 2011) e che la disoccupazione giovanile è in calo, anche se si attesta comunque su un dato del 22%... (vi sembra un dato alto?? bè il Italia è circa al 28%). Ve lo aspettavate? Chissà che paese scoprirò!
Magari a settembre potrei consigliare una nuova meta di fuga per i nostrani cervelli in fuga!

Buone vacanze a tutti! 

venerdì 29 luglio 2011

La mia valigia

Ultimo giorno di lavoro in ufficio, prima di ben 4 settimane di ferie. 
Sensazioni molto simili a quelle, provate tante volte, l'ultimo giorno di scuola. L'ultimo giorno prima che tutto l'ufficio vada in ferie, si lavora tranquillamente, senza affannarsi troppo, si fa una bella pausa pranzo lunga e allegra, si esce prima, ci si saluta, si è tutti più felici e sereni.
Si va in vacanza e si mette tutto in stand by. 
Per me è stato un ultimo giorno di lavoro ancora più particolare. Dopo tanti colloqui, dopo tanti patemi, dopo tante riflessioni, sembra che tutti i pezzettini del puzzle finalmente vadano al loro posto: ho ricevuto una nuova offerta per un lavoro, questa volta nella mia città.

Avrò fatto la scelta giusta? 
Abbandono un contratto già firmato, un lavoro in cui mi ero già un po' inserita, un bel gruppo di colleghi, un'azienda prestigiosa e conosciuta, e ancora non so bene cosa troverò. 
Gli addii spingono sempre a fare dei bilanci, e io ho iniziato a pensare a cosa avrei riportato a casa nella mia valigia, dopo questi mesi romani, a parte i vestiti acquistati nei mercati di Campo dei Fiori e nei negozi di via del Corso. 
Insomma, cosa ho imparato, oltre ad usare Excel e Power Point molto meglio di prima???
Bè ho imparato anche tante altre cose, ho imparato ad usare sempre un po' di strane parole in burocratese ministeriale fra cui "a tergo" e "per le vie brevi", ho imparato che nei documenti ufficiali non si scrive "si dichiara", ma "si rappresenta".
Ho imparato che non si dice graffetta ma attache, e ho scoperto che esiste la parola "pecetta", che prima di qualche mese fa non avevo mai sentito, ma che credo voglia dire post-it o qualcosa del genere!
Oltre a 30 kg di vestiti, trasportati a fatica su e giù dalla metro e su e giù da un treno, nella mia valigia della prima esperienza lavorativa metto tutto questo, e tanto altro. 
Ho capito che lavoro di gruppo non è solo una frase fatta, ma a volte è una bella realtà. 
Ho capito che quando non si sa qualcosa è sempre meglio chiedere. 
Ho imparato quanto sia fondamentale legare con le persone, per lavorare bene. 
Ho conosciuto tanti colleghi, più o meno in gamba. 
Ho capito che il ruolo del capo è quello di motivare, stemperare gli animi, consigliare, e quasi mai quello di lavorare.
Ho imparato a leggere un contratto di lavoro, una busta paga, a chiedere delle ferie, e a dimettermi (e non è stato facile). 
E poi ho capito dove voglio abitare e quindi lavorare, ho capito che il lavoro non può essere tutto, e che bisogna sempre andare avanti con la propria vita, e non limitarsi al lavoro.
Sono in viaggio, sto tornando, faccio bilanci e sono pronta ad aprire un nuovo capitolo, senza dimenticare mai tutto quello che mi porto dietro dopo questa prima esperienza di lavoro.
Si, sono pronta ad andare avanti, a rimettermi in discussione e a riniziare tutto da capo. Si sono pronta, ma rigorosamente solo dopo le ferie!

mercoledì 13 luglio 2011

Competizione

Il lavoro è un posto competitivo. O no?
è peggio di una corsa ad ostacoli o possono nascere anche amicizie e bei rapporti?
Fra colleghi si cerca continuamente di farsi le scarpe a vicenda o esiste davvero il fantomatico lavoro di squadra? I mille colloqui di gruppo che instancabili responsabili delle risorse umane hanno inventato, sono inutili o è davvero possibile selezionare persone che sappiano lavorare produttivamente in gruppo?
Entrata nel mondo del lavoro ero un po' dubbiosa, e immaginavo che l'ambiente in cui avrei lavorato sarebbe stato molto competitivo. 

Una  delle big four! chissà che squali pronti a sbranarmi per emergere a mio discapito! 
L'impatto è stato molto diverso, con un gruppo giovane, coeso, simpatico ed informale, ma è davvero così o l'apparenza inganna?? è possibile legare davvero con i colleghi, nonostante lo stress e i carichi di lavoro insostenibili? Nei momenti più duri, vicini alle scadenze, nella frenesia di una richiesta improvvisa del cliente, in effetti si sente qualche crepa scricchiolare, in questo quadretto di perfetto lavoro di gruppo...rispostacce, battutine, sguardi di disapprovazione. Ma mai niente di terribile, mai niente di incomprensibile, vista la situazione. 
Il mio ufficio è un caso particolare o quando si è pieni di lavoro, cooperare, coordinarsi, lavorare in gruppo e anche "coprirsi le spalle" diventa una necessità imprescindibile e non soltanto una remota possibilità?
Forse negli ambienti più stressanti è normale fare gruppo ed aiutarsi, o nessuno di noi ne uscirebbe vivo.
Ma sotto sotto, anche in questi casi, c'è competizione o si pensa solo al successo del gruppo??
Non lo so. 
La buonista ed ingenua che è in me risponderebbe che la competizione non c'è, se non in piccole dosi, e che è bello sapere che se sbaglio, i miei colleghi sono pronti ad aiutarmi a rimediare, e che nessuno vuole farmi le scarpe. Però non sono proprio sicura che sia così. Spero di non dovermi disilludere.

lunedì 4 luglio 2011

Un'estate al mare

Un'estate al mare. Non più. Quell'era è finita.
La mia prima estate da lavoratrice. Uno shock. è luglio e sono ancora 10 ore al giorno in ufficio, e non so come farò a reggere fino ad agosto. Forse l'estate è il periodo in cui si nota di più il passaggio tra il mondo dell'università e il mondo del lavoro. Ho passato 25 anni della mia vita a fare almeno un paio di mesi completi di riposo, svacco, cazzeggio, mare e vacanze. E ora il mio contratto prevede 22 giorni di ferie l'anno. 
VENTIDUE.  All'anno.  Un trauma. 
Ricordate il periodo delle elementari, delle medie e del liceo? il 10 giugno finiva la scuola e fino a metà settembre era la libertà più totale. Un tempo sospeso, lento nel suo scorrere, e quasi noioso. Un po' di settimane al mare con la famiglia, un po' di settimane in "colonia" o in vacanze studio all'estero, un po' di settimane ospiti di qualche amico in località balneari, e il resto del tempo diviso fra scorrazzamenti in campagna dalla nonna, con una banda di cugini al seguito, e la piscina comunale. Certo c'erano anche i compiti delle vacanze, ma qualche paginetta di libri di esercizi, un po' di versioni o dei romanzi da leggere sotto l'ombrellone non sono mai stati un problema. Anche all'università era abbastanza facile, con un po' di organizzazione, non ridursi a dare gli esami più pesanti a luglio e a settembre, e già così, avere l'ultimo esame dell'anno il 10 luglio, sembrava un po' un affronto al tempo sacro dedicato all'estate e alle vacanze.
E poi sono piombata nel mondo reale. Sapevo già che sarebbe successo. Sapevo già che sarebbe stato così, ma la consapevolezza non ha diminuito il mio senso di spaesamento in questa mia prima estate lavorativa.
E per cosolarmi un po' continuerò a ripetermi nella mia testa le parole di una canzone degli Skiantos..
Anche se fa un po' volpe e l'uva sono quasi riuscita a convincermi che al mare non voglio più andare...


Valeva la pena, si 
di venire in vacanza 
di affittare una stanza col mare di fronte 
ah si.... 

t'ho portata nel porto, ma tu 
m'hai lasciato da solo, si 
m'hai mollato sul molo, non so neanche il perchè, eh perchè ? 

Il sole risplende 
la sabbia è rovente 
non mi importa più niente del governo e di te, capito ?! 

al maaaaare, non voglio più andaaaaare 
che nessuno m'inviti 
basta sabbia fra i diti .....uuuuuh 

Valeva la pena, si 
di trovare un sistema, mmh 
per bruciarsi la schiena nonostante la crema 

tu volevi la pomata, lo so, lo so 
ma non l'ho mica trovata, però..... 
c'ho qui l'insalata, fa lo stesso per te ? Eh ?! 

la radio ripete, notizie sudate di città abbandonate e bambine perdute... 

al maaaaare, non voglio più andaaaaare 
basta cene di pesce 
ballo liscio con contorno di cosce 
 al maaaaare, non voglio più andaaaaare 
detesto gli scogli, si, si 
le creme camogli 

Non sopporto i faraglioni 
Ferragosto e i gavettoni, no, no 
gli animatori allegroni 
la pizza quattro stagioni 

bruciati dal sole 
incrostati di sale 
fitti come sardine 
e son solo le tre, e son solo le tre, e son solo le tre, e son solo le tre 

al maaaaare, non voglio più andaaaaare 
non sopporto i bagnini 
i cornetti e i panini 
al maaaaare, no, non voglio più andaaaaare 
basta bionde abbronzate e occasioni perdute 
al maaaaare, sai non voglio più andaaaaare 
che nessuno m'inviti 
basta sabbia fra i diti .... 

insomma! Basta! Sabbia! Fra! I ditiiiiiii! Eh 
non ne posso più, uh, uh, uh 

giovedì 30 giugno 2011

La legge del contrappasso

Le mie amiche lo sanno, sarà una reminiscenza dei miei studi classici, ma io sono una fautrice della teoria del contrappasso, e soprattutto della sua applicazione alla vita sentimentale. 
Ho passato anni ad interpretare ogni mia storia e vicenda sentimentale, e tutte quelle delle mie amiche, più o meno strette, in quest'ottica. La teoria del contrappasso è molto semplice, e racchiude in sè un'idea di karma cosmico e di giustizia divina,  in fondo molto rassicuranti.
Il succo della teoria è molto facile: quello che fai ti tornerà indietro, attenta ai tuoi comportamenti perchè prima o poi li subirai. La mia vita mi ha fornito innumerevoli riprove di questa legge karmica: la prima volta ho lasciato, la seconda sono stata lasciata, ho trascurato un ragazzo e nella storia dopo sono stata trascurata. Anche le vite delle mie amiche mi hanno fornito spunti molto interessanti: chi rincorreva poi veniva rincorsa, chi se la tirava è poi diventata donna zerbino, chi si lamentava della troppa bontà e gentilezza del ragazzo ha poi conosciuto solo stronzetti, chi ha tradito è stato tradito. La teoria è ormai nota e, almeno per me, quasi scientificamente dimostrata. E oggi ho avuto una profonda illuminazione. 
Questa legge governa tutto l'universo, non solo le questioni di cuore!
Anche il mondo del lavoro è influenzato dal contrappasso... dunque cercate di stare attenti alle mie spiegazioni e di prendere appunti: in una situazione lavorativa ed occupazionale sempre più tragica per questo paese bisogna tenere conto di tutto, anche delle stelle e del destino!
Martedì sera, giorno prefestivo a Roma, visto che il 29 era il patrono, mentre ero già sulla soglia, il capo mi ha richiamata e mi ha chiesto se volevo fare il ponte.. io, scema, ho rifiutato. Ho pensato che ero indietro con alcuni lavori, che ero già d'accordo di fare delle cose con altri colleghi, ho riflettuto che il grande capo in fondo non è sempre al corrente di quello che facciamo e che magari non si era reso conto che sono molto impegnata in questo periodo. E oggi sono tornata al lavoro, polla come al solito. 
Sono tornata al lavoro e ci sono stata dalle 9.00 alle 21.00, e domani mattina devo entrare mezz'ora in anticipo per finire delle urgenze improvvise. è il karma ragazzi, mai rifiutare delle ferie: hai snobbato questa possibilità?e ora ti tocca iperlavorare.. I miei colleghi me l'hanno confermato. mai lasciarsi scappare queste occasioni quando ti si presentano. è la prima lezione da imparare, e io oggi l'ho decisamente imparata!

lunedì 27 giugno 2011

L'abito non fa il monaco

Ho già scritto dell'importanza dell'abbigliamento sul posto di lavoro, e dell'ansia di essere sempre adeguatamente vestiti in ufficio, ed ho già scritto che l'ansia da abbigliamento prende già ai colloqui, mischiata all'ansia generale di fare buona impressione su tutto... Possono sembrare considerazioni scontate, visto che è ovvio dire che è importante dare una buona impressione di sè, e che quindi andare ad un colloquio vestiti bene è importante per non sfigurare. 
Eppure io continuo a riflettere.
Non credevo che l'elemento estetico potesse diventare un serio criterio di scelta e di selezione per un lavoro. 
E se invece fosse proprio così?
Già a due colloqui diversi mi è stato detto che ho "presenza" e a partire da questa parolina ho iniziato a riflettere.. Presenza, bella presenza, che si intende? Ho scatenato il dibattito di un intero pranzo domenicale in famiglia sull'interpretazione di questa frase e di questo episodio. Bella presenza è sinonimo di bellezza? 
Mi è stato detto, seppur in modo un po' più delicato e discreto, che uno dei punti a mio favore nella scelta è che sono carina? oppure per bella presenza si intende semplicemente il modo di porsi, di parlare, di sorridere, magari anche di essere vestiti, cioè l'idea che si dà di sè complessivamente?
Sarà un caso se tutte le mie colleghe sono molto carine? sarà un caso se nessuno nel mio ufficio ha kili di troppo o evidenti difetti fisici? Se la selezione, forte e rigida, a cui siamo stati tutti sottoposti per essere scelti (max 26 anni, minimo 110 come voto di laurea, gradite esperienze all'estero, lingue straniere, test ed esami e almeno tre step di colloqui da superare) avesse riguardato anche, in parte, il nostro aspetto esteriore? Magari non è necessario essere belli secondo i canoni tradizionali, ma almeno piacevoli alla vista e ben vestiti si. Ed ho sentito io stessa commentare i colloqui di potenziali nuovi stagisti, basandosi sull'abito che indossavano: chi troppo scuro, chi troppo casual, chi troppo elegante, chi troppo poco. 
Certo nessuno dice che l'abito sia determinante nella scelta, ma io inizio a raccogliere indizi e a sospettare..
Perchè l'abito non fa il monaco, ma a volte porta ad un contratto.

giovedì 23 giugno 2011

La partita doppia no!

I colloqui sono un po' come gli esami: ci si sente sotto giudizio, si teme il loro esito, si è in agitazione e si ha paura di non saper rispondere. 
Solitamente però i colloqui non sono così nozionistici, non si deve dare la risposta giusta ad un qualcosa su cui ci si può preparare, ma bisogna dare una buona impressione di sè e delle proprie potenzialità.
Era ciò su cui io contavo.. Ma non va sempre a finire così..
Per una persona estroversa, abituata a parlare in pubblico e con una buona proprietà di linguaggio ed anche un buon curriculum, come nel mio caso, non è così difficile superare un colloquio motivazionale. Ma una vera e propria interrogazione, come in sede d'esame è un'altra cosa!soprattutto quando si deve fare un test su argomenti MAI studiati.
E allora non c'è motivazione né parlantina che tenga. Carta canta, ed un test consegnato in bianco, purtroppo, canta parecchio.
Superato lo shock iniziale per la figuraccia e per la delusione mi faccio un po' di domande...
Visto che il responsabile delle risorse umane pare essere un mestiere molto in voga, mi chiedo, qual è il compito di chi ha questo ruolo, se non quello di selezionare curricula adeguati alle figure che si sta cercando?!?
E allora perché vengo chiamata io, povera laureata in scienze politiche, per una posizione da assistente revisore contabile?
Perché devo subire l'umiliazione di trovarmi di fronte ad un test di contabilità, quando dal mio curriculum è evidente che è una materia che non ho mai studiato??
Mi sa che inizierò a rispondere anche agli annunci in cui di cerca esperti in risorse umane,tanto se si tratta di convocare indiscriminatamente tutti i candidato che hanno inviato un cv per qualsiasi posizione, dovrei essere in grado. E nel frattempo medito di chiedere i danni morali e materiale al settore recruitement di questa grande multinazionale..e no, non mi metterò a studiare la partita doppia a 25 anni, finora sono sopravvissuta anche senza.
..

martedì 21 giugno 2011

Il cazzeggio è lecito?

Ogni tanto al lavoro capita di non avere niente da fare. 
A qualcuno capita più spesso, ad altri quasi mai; In alcuni lavori è la norma e per altri è un'eccezione, ma prima o poi a tutti è capitato di stare davanti al proprio monitor senza un'occupazione precisa. Il lavoro è pesante anche per questo: è una costrizione, che ci impedisce di disporre liberamente del nostro tempo, e del nostro spazio, anche quando non ci sono scadenze od urgenze. Certo, alcuni lavori sono più flessibili di altri. Chi deve timbrare il cartellino, chi si rapporta ad una clientela, chi ha dei turni, non potrà mai organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro come meglio crede. Se si finiscono i propri incarichi in anticipo, se il capo non ci assegna nulla, se insomma non c'è niente da fare, ci si ritrova costretti a leggere il giornale, controllare la propria posta, pianificare le vacanze, fare scorrere il tempo fino all'agognata campanella di uscita. Proprio come al liceo.
Un lavoratore che si ritrovi in questa situazione, lo definireste un fannullone? Un addetto ad un ufficio informazioni, che non abbia nessun utente di fronte e che legge la gazzetta dello sport, sta rubando il suo stipendio? 
Insomma al lavoro, entro certi limiti ed in certe situazioni, è lecito e tollerabile cazzeggiare?
La questione si pone anche per lavori un po' più flessibili nell'orario. Chi ha la libertà di organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro, senza il vincolo così rigido di un cartellino da timbrare, perchè si riduce, a volte, a cazzeggiare per far passare il tempo, senza più nulla da fare?
A volte in un ufficio, o in un gruppo di lavoro, sembra difficile essere il primo a staccarsi ed alzarsi dalla sedia, "denunciando" così di essere stanco, di non essere abbastanza dedito alla causa, o di non avere nulla da fare. Anche nei lavori con orari flessibili, l'uscita prima di un certo orario è mal tollerata o malvista, e così ci si riduce a navigare su internet, aspettando che un collega ceda per primo, scatenando il fuggi fuggi generale. Ma quanto sarebbe più intelligente, più produttivo e più logico dire, "oggi ho finito, vi saluto" ed andarsene a prescindere dall'ora? Perchè negli ambienti di lavoro in cui si ha un orario flessibile, alla fine si accetta la flessibilità solo quando questa comporta un ritardo nell'uscita?
In questo modo non si obbliga le persone a stare ferme sedute davanti ad uno schermo, senza nulla da fare, ogni tanto, e spingendole quindi al cazzeggio?
Mi autodenuncio: io al lavoro cazzeggio. O perlomeno è capitato, e credo che sia abbastanza normale, soprattutto all'inizio, non essere sempre oberata di consegne, quindi piuttosto che fissare uno schermo vuoto, mi faccio un po' i fatti miei, soprattutto visto che se uscissi dall'ufficio ad un orario decente (facendo comunque 8 ore al giorno) sarei guardata male.
Oggi però mi sono accorta che non sono l'unica, e che anche colleghi e superiori cazzeggiano, sempre con l'accortezza di avere una faccia assorta e super concentrata, ed apparentemente lavorativa, facendo passare i minuti, in attesa che arrivi un orario ritenuto accettabile per andarsene.. 
Siamo lavoratori fannulloni, o questa è un'altra contraddizione del mondo del lavoro?

mercoledì 15 giugno 2011

Io sono la peggiore Italia

Era scontato scrivere un post sull'allucinante dichiarazione del ministro Brunetta.


Era scontato ma lo faccio lo stesso, perchè non mi sembra il caso di tirarsi indietro. 
Forse basterebbe solo una riga per commentare, senza sprecarsi troppo. Forse basterebbe scrivere che è una vergogna e che chiediamo le sue dimissioni. Lo stanno già scrivendo e dicendo in tanti, ma non credo che lui si vergognerà nè si dimetterà. In fondo il suo capo ci ha abituato a questo e anche a peggio, e il caro Brunetta ha già imparato anche a ribattere, come il suo capo, "sono stato frainteso, è colpa dei giornalisti comunisti e oltretutto precari". 
E così la precarietà diventa anche una colpa, un simbolo di cattiveria e di meschinità, non più soltanto una sfiga o una condizione ineluttabile a cui cercare di resistere. Sei un precario e mi fai schifo. Sei precario, peggio per te, te lo meriti.
Oggi abbiamo quindi scoperto di essere l'Italia peggiore. Brunetta voleva insultarci, ma in fondo ha detto un po' di verità. Si, siamo l'Italia che ha le condizioni di lavoro peggiori. Siamo l'Italia con le prospettive di futuro peggiori. Siamo l'Italia con le peggiori sicurezze e certezze. Siamo l'Italia dei peggiori contratti e delle peggiori garanzie. Forse intendeva questo il signor Ministro?
E allora cosa dire di un governo e di un ministro che, davanti a tutto questo "peggio", non fanno niente, non propongono soluzioni, non si interessano e non mostrano neanche un minimo di rispetto, ma continuando a dichiarare, nonostante le batoste elettorali, che la priorità del paese è la riforma (distruzione) della giustizia? 
Chi ci ha portato a questo peggio??

domenica 12 giugno 2011

Facebook or not?

La vita dei giovani, e non solo, pare essere sempre più ancorata ai social network, Facebook in primis, causando anche una serie di ripercussioni, a volte molto serie, sull'ambito lavorativo.

I problemi con Facebook iniziano molto presto, già dalle selezioni degli aspiranti lavoratori, infatti, gli uffici risorse umane, soprattutto di grandi aziende, svolgono alcune ricerche preliminari su internet, ed, ovviamente sui social network. Ed è inutile indignarsi o sbandierare la nostra privacy, visto che si è scelto volontariamente di scrivere e mettere materiali, magari privati, on line, e quindi alla mercé di tutti.
è possibile evitare che il proprio futuro capo veda foto di sbronze, di vacanze, di goliardate post laurea, nonchè conosca tutti i nostri flirt, ragazzi, amici, gusti, ed orientamenti? 
Ci sono un po' di accorgimenti, primo di tutti controllare con attenzione le proprie impostazioni sulla privacy. Quanti sprovveduti credono che abbiano accesso ai contenuti del proprio profilo solo gli amici! Ebbene no, è necessario specificarlo nelle impostazioni! 
Il secondo accorgimento, che nel momento della ricerca del lavoro, anche io ho adottato, è quello di scegliersi uno pseudonimo o un soprannome, anche se ufficialmente Mr. Fb dichiara che ciò non sia possibile. 
Infine potrebbe essere una bella idea anche accettare fra i propri amici solo reali conoscenti e non svelarsi troppo online. Sembrerò paranoica, ma io ho cercato di fare tutti ciò, dal momento che non mi pareva carino presentarmi al primo colloquio con la nomea, di già, di sinistroide ubriacona! 
E tutti questi consigli potrebbero anche aiutarvi, non solo ad ottenere un lavoro, ma anche a difendervi da potenziali guardoni, maniaci ed ex ossessivi.
I problemi però non si fermano al momento della selezione. Una volta entrati in un nuovo ufficio, infatti, è necessario decidere che fare... aggiungere o accettare su Facebook i nuovi colleghi? 
Magari sono giovani e simpatici, magari facebook può essere uno strumento utile per sentirsi ed organizzare eventi aziendali, ma il mio consiglio è quello di rimanere saldi: respingere ogni contatto, quasi come se si trattasse di un contagio. Un solo collega aggiunto potrebbe infatti provocare la catastrofe: pian piano si verrebbe individuati da tutti, anche da quelli noiosi, competitivi, o antipatici, e prima o poi potrebbe succedere di dover diventare amici anche del proprio capo. Aggiungerne anche uno solo è l'inizio della fine: non cedete!
Avere su Facebook i colleghi, o peggio, il proprio capo, può infatti causare notevoli problemi, non soltanto un po' di imbarazzo per questa invasione della privacy. Aumentano ogni giorno i casi di contenziosi fra le aziende e i loro dipendenti che avevano sparlato del datore di lavoro sul social network e a volte questi contenziosi si sono conclusi con il licenziamento. 
Come se non bastasse è pericoloso anche usare facebook in ufficio, alcuni dipendenti di un comune in provincia di Forlì sono stati accusati di peculato perchè pare utilizzassero i pc del lavoro per aggiornare i propri profili.
Internet, che sembra essere sempre di più uno strumento indispensabile nella ricerca del lavoro, a volte può anche farcelo perdere. 
E se i miei colleghi ed il mio capo, nonostante le mie precauzioni, dovessero diventare mie amici su Facebook, sappiano che tutto ciò che scrivo su questo blog è di fantasia, e eventuali somiglianze a nomi, fatti o persone è puramente casuale! ;)

mercoledì 8 giugno 2011

Tu sei troppo per me

Tu sei troppo per me, un classico nel repertorio delle frasi delle storie d'amore. Un classico soprattutto per troncarle, le storie d'amore.
A chi non è mai successo di sentirsi così, o di temere che il proprio partner si sentisse così?
A chi non è mai successo di consolare un'amica che si è sentita lasciare con questa assurda scusa?
"Io non sono all'altezza, tu sei troppo per me..."


Ci sono film, canzoni, libri e poesie che raccontano episodi legati a questa frase.
"Tu sei troppo per me" è ormai deventata un topos, uno stereotipo.
A quanto pare, però, questa scusa è in voga anche nel mondo del lavoro, non solo negli affari di cuore.
E quindi, ai giovani disperati in cerca di lavoro, capita anche di sentirsi dire, tu sei troppo per me, troppo bravo, troppo qualificato, troppo specializzato, e anche troppo giovane (ma per quest'ultimo è un'altra storia).
Cornuti e mazziati.
In un mondo in cui si parla di formazione continua e in cui l'Europa, e quindi anche l'Italia, dice di ambire a diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo (ma attenzione, avremmo dovuto farlo entro il 2010), capita anche di sentirsi dire che si è troppo preparati. 
Prenderlo come un complimento? o prenderlo come un insulto?
è un riconoscimento della mia preparazione e del mio profilo o è una scusa per rifiutarmi, proprio come in amore?
Troppo è una parola pericolosa.. in una sola parola tutto il senso di un'intera conversazione è stato stravolto.
"Complimenti per il suo curriculum dottoressa, lei è veramente giovane ma ha già un sacco di esperienza ed è molto qualificata" - a questo punto è naturale gioire, sorridere, ringraziare e pensare di avercela fatta. "anzi, è fin troppo specializzata per noi, siamo una piccola realtà e qua un alto profilo come il suo sarebbe sprecato". ah. quindi è un rifiuto.
Si fa fatica a digerire un rifiuto così, proprio come in amore, e non si riesce a farsene una ragione. Non si sa come reagire, in fondo ti hanno fatto i complimenti, ti hanno detto che sei brava, in fondo sono stati carini. Anche se hanno disprezzato la mia istruzione, i miei sacrifici, il mio impegno, il mio studio. Sono cose di cui dovrei forse vergognarmi? Sono cose che dovrei cancellare dal mio curriculum e tenere nascoste? 
è una sensazione strana. dolceamara. che ti lascia basita e perplessa.
Io ho deciso. La conversazione di oggi la prenderò come un complimento, come una dimostrazione del fatto che ho un buon curriculum, voglio continuare ad essere fiduciosa ed orgogliosa del mio percorso. Se dovesse ricapitare, però, inizierò a togliere voti, allungarmi gli anni di studio fuoricorso e nascondere tirocini ed esperienze all'estero.
Sperando che, come in amore, nel frattempo arrivi un lavoro che si reputa alla tua altezza, e che tu reputi nello stesso modo. Il principe azzurro insomma, cioè il lavoro azzurro.

venerdì 3 giugno 2011

In scadenza


Non parlo del latte in frigo, nè delle mozzarelle, nè della verdura che compro sempre in abbondanza per farla appassire, nè di tutto il resto. Questa volta il prodotto in scadenza sono io, o meglio, il mio contratto.

è dal primo giorno di lavoro che, mentalmente, faccio il conto. Fra tre mesi mi scade il contratto, fra due mesi finisco, ormai mi conoscono, mi diranno a breve qualcosa, fra un mese termino, ora mi parleranno... e invece siamo arrivati a meno 12 giorni, di cui solo 8 sono lavorativi, e non so ancora niente.
Sarà una strategia dell'azienda, o sarà che non mi vogliono più?
I colleghi ci scherzano e danno per scontato che mi verrà fatta l'offerta di rinnovo, almeno di un altro periodo di stage, in fondo non ho fatto troppi danni, ho imparato tante cose, in ufficio hanno sempre bisogno di una mano, ed insegnare tutto di nuovo a qualcun'altro sarebbe un grande sbattimento. Il capo invece sta muto. Non si pronuncia nè in un senso nè nell'altro.. E nel frattempo i miei buoni pasto per giugno non sono arrivati, cosa significherà? Perchè aspettare così tanto per decidere? O ancora peggio, se si è già deciso, perchè aspettare così tanto per comunicarlo?
In 8 giorni di lavoro cosa potrà mai succedere che faccia cambiare idea sul mio conto?
E se hanno già deciso, perchè non me ne parlano?perchè non pensano che sarebbe più corretto informarmi e permettermi di iniziare a programmare il mio futuro? Perchè farmi sentire così in balia delle onde, senza farmi neanche prendere in mano la situazione?Almeno se sapessi già che non avrò un rinnovo, potrei ributtarmi a mandare curricula, fare ricerche, fare colloqui. Così solo incertezza.
La mia situazione non è particolarmente critica. Fortunatamente ho ancora alle spalle la mia famiglia che mi aiuta, sono laureata da pochi mesi, e non mi aspettavo che questo fosse il lavoro della mia vita. In fondo mi ritengo già fortunata e privilegiata ad aver trovato questo stage retribuito, ma non troppo, appena laureata.
Però, nonostante non abbia mutui da pagare, nè figli da mantenere, la sensazione di essere in scadenza non mi piace per niente. E immagino già con terrore quante volte dovrò riviverla, con la consapevolezza che, crescendo, sarà sempre peggio.
E mi rendo conto che il lavoro e la ricerca del lavoro sta già diventando il mio chiodo fisso, l'argomento di conversazione che esce sempre, l'ossessione quotidiana. Parlo di colloqui, controllo le offerte di lavoro, consiglio proposte ai miei amici, mi immagino il mio lavoro ideale, sogno un'assunzione, desidero trovare il lavoro definitivo e lo vorrei qua a Bologna. Chiedo, mi sbatto e mi informo con tutti quelli che conosco. E ormai che sono entrata nel trip, lo faccio per me, per il mio ragazzo e per i miei amici. Non troverò pace finchè non saremo tutti sistemati. E purtroppo, vista la situazione, prevedo ancora tanti momenti d'ansia.
Quante volte ancora ci capiterà di dover aspettare per un rinnovo contrattuale? Quante volte ci sentiremo limitati nel chiedere ferie, malattie, fare scioperi, per non dare una cattiva impressione ed arrivare all'agognato rinnovo? Quanti contratti di tre mesi in tre mesi dovremo sopportare? E quante volte, invece, non avremo neppure quelli?
Almeno questa situazione mi sta insegnando ad essere più sensibile. Giuro che non comprerò mai più frutta e verdura in eccesso, giuro che non abbandonerò più cartoni di latte in frigo ad attendere il loro destino e prometto di mangiare tutte le mozzarelle in scadenza, prima che sia troppo tardi. 
In fondo tra simili bisogna essere solidali e darsi una mano, no??

lunedì 30 maggio 2011

Io non lavoro

No, tranquilli, non sto parlando di me... anche se i giorni che mancano alla scadenza del mio contratto stanno, precipitosamente, calando. 
Parlo di un libro. Io non lavoro. Storie di italiani felici ed improduttivi. 

Ebbene si, in un periodo di disoccupazione ai massimi, c'è anche chi si è interrogato ed ha indagato le storie di quella piccola fetta di italiani che non lavorano, per scelta, e che hanno raggiunto la felicità in questo modo. Sembra strano, e probabilmente è un po' provocatorio, ma è un modo un po' alternativo per addentrarsi, ancora una volta, sul tema del lavoro nella nostra epoca. Ed in particolare sul rapporto fra lavoro e vita privata, e fra lavoro e realizzazione personale. Io, l'ho già detto e scritto, appartengo a quella categoria di persone che senza niente da fare si annoierebbe. Ho sempre pensato che in caso di improvvisa ricchezza mi sarei comunque ritagliata qualcosa da fare, qualcosa di molto poco stressante, molto naif, molto sociale, ma in fondo pur sempre una forma di lavoro...una fondazione, un'associazione, volontariato, comunque qualcosa in cui investire le mie energie e le mie risorse, non solo economiche, per trovare un campo in cui realizzarsi. Altri non la pensano così. Ed arrivano a paradossale, ma forse molto logico, ragionamento secondo il quale se non si ha voglia di lavorare, ci sono tante possibilità per vivere o sopravvivere, senza "rubare" un posto di lavoro ad altri, più motivati, più capaci o più bisognosi.
Il lavoro può anche essere alienante, e sicuramente non è facile trovare, soprattutto oggi, la carriera dei nostri sogni, e allora ci sono alcune possibilità che vale la pena di prendere in considerazione.
Va bè, lo spirito del libro non è proprio questo, il libro è in realtà un racconto-inchiesta sulla vita e le storie di persone che, per vari motivi, hanno fatto la scelta di non lavorare, e che vengono narrate in modo appassionato e sincero, ma senza giudizi o moralismi, da parte dei due autori. 
Ma dopo una piacevole serata di presentazione del libro, dopo un po' di chiacchiere, di aneddoti, e anche di riflessioni molto serie da parte di Serena, una degli autori, sono arrivata alla mia personale rilettura dell'opera. In effetti, riflettendo sopra queste storie, possono anche nascere spunti interessanti, e allora perché non provare a trarre un po' di insegnamenti pratici per aspiranti nullafacenti felici??
- possibilità numero 1: sei ricco di famiglia. ok, caso facile e molto lineare, puoi non lavorare e ne sei consapevole fin dalla nascita. La difficoltà sta nel convincere i genitori a mantenerti tutta la vita, ma pare che l'iscrizione all'Università prolungata fino ai 40 anni, possa essere un'utile scusa per ottenere paghette.
- possibilità numero 2: trovi un lui/una lei che ti mantenga. Anche questa è in effetti la storia più vecchia del mondo, ma pur sempre molto efficace. Non fate l'errore di innamorarvi della persona sbagliata però! Mi raccomando, non siate ingenui, la prima cosa da chiedere è la dichiarazione dei redditi.
- possibilità numero 3: il caso/il talento ti regalano una facile e remunerativa carriera che tu sfrutti solo fino a che non hai quel minimo che basta per avere un reddito per tutta la vita, e poi ti ritiri. Bellissima idea che però pare funzioni solo per chi lavora nel mondo dello spettacolo ed è un genio.
- possibilità numero 4: vendi la tua grande casa di famiglia, costruita con i soldi e lo sforzo di varie generazioni. Con il ricavato compri il monolocale più a buon mercato che c'è, una casa decente ma non esagerata ed un appartamento. Poi ci si cimenta al gioco degli incastri: mamma e papà saranno rinchiusi nel monolocale (come ringraziamento di aver investito su di te e sulla tua istruzione), tu ti terrai la casa decente e affitterai a prezzi esorbitanti e possibilmente in nero l'appartamento. Anni di esperienza consigliano di affittarlo a studenti fuori sede, per garantirti la massima resa e il minor sforzo possibile in manutenzioni. Ed ecco il tuo reddito. Una bella rendita ottenuta senza far niente. Rendita che probabilmente, almeno nel caso italiano, sarà almeno uguale allo stipendio a cui puoi aspirare con una carriera media.
Inutile dire che, nel mio caso, mi vedo costretta a scartare, per vari motivi, le prime tre opzioni e a buttarmi sulla quarta. Mi sono fatta i miei conti e direi che ce la potrei fare senza problemi. Genitori, tremate, tremate le nuove generazioni sono arrivate!

Sono storie assurde? Ok, sono consigli ironici e paradossali, anche se, forse, non così fuori luogo in Italia, paese che dovrebbe essere una Repubblica fondata sul lavoro, ma che non sempre lo è.
Per ora continuo a coltivare la speranza di trovare una carriera che mi piaccia e che mi permetta di esprimermi, ma chissà che, a lungo andare, questa lettura non si riveli più utile del previsto.
E nel frattempo vi consiglio di leggere il libro!

lunedì 23 maggio 2011

Il ricatto della precarietà

Tempo fa ci dicevano che la ricetta per la piena realizzazione degli individui nel lavoro, e quindi anche in tutta la loro vita, era la flessibilità, parolina magica in auge a partire dagli anni '90, che è stata declinata in mille modi diversi, ma che, almeno in Italia, sembra paurosamente coincidere sempre con precarietà.


Ci dicevano che, grazie alla flessibilità, era possibile cambiare la propria vita, seguire le proprie ispirazioni, rivoluzionare il proprio lavoro, anche a 50 anni. Ci dicevano che, grazie alla flessibilità, ognuno poteva costruirsi il proprio percorso e conciliare meglio la vita privata e quella lavorativa. Ci dicevano che la flessibilità sarebbe stata la soluzione per aumentare il tasso di attività e di occupazione delle donne, finalmente libere di "essere flessibili" e di riuscire ad unire "flessibilmente" i lavori di cura con il lavoro vero e proprio. Ci dicevano che la flessibilità avrebbe premiato il merito e punito i nullafacenti dal posto sicuro ed assicurato a vita. Ci dicevano che la flessibilità avrebbe ampliato la nostra libertà di scelta, di decidere della nostra vita e di essere meno schiavi del lavoro. Ci dicevano.
Ora si sentono in giro molti meno elogi della flessibilità, anche da parte di quelli che in Italia l'hanno sempre voluta e difesa. In effetti, anche loro, farebbero fatica a difendere la loro fallimentare creatura, che non è mai riuscita a diventare davvero una flessibilità matura e completa, sullo stile della flexicurity dei paesi del Nord, che, invece, coniuga flessibilità e sicurezza, grazie ad un avanzatissimo welfare state. Come potrebbero infatti negare l'evidenza della situazione italiana attuale? 2.000.000, solo fra i giovani, di NEET, ovvero Not in Education, Employment or Training, in parole più chiare, completi nullafacenti, numero che continua ad aumentare, rispetto agli anni precedenti. 
Ma è inutile riportare, ancora una volta, questi dati, che ci sono dolorosamente chiarissimi, e che per la mia generazione non sono più solo numeri, ma nomi, cognomi e storie di amici, colleghi, se non di noi stessi. La situazione la conosciamo tutti. E tutti i giorni speriamo che non tocchi a noi dare un volto a queste storie.
E quindi la flessibil-precarietà in Italia cosa ha portato?che libertà di scelta ci ha dato? Quale meriti ha premiato? Domande retoriche, a cui non è necessario dare risposte.
Alla fine dunque la flessibilità all'italiana ha negato proprio quelle cose che voleva garantire, in primis la libertà di poter scegliere con tranquillità il proprio percorso. In quest'epoca di desolazione e disoccupazione, infatti, è possibile mettersi in gioco, seguire le proprie aspirazioni, cambiare lavoro anche quando si ha la fortuna di averne uno? Se si trova un lavoro, bello o brutto che sia, non si è sotto ricatto, molto più di prima, a causa della paura di non poterne trovare un altro? Forse questa flessibilità ci sta spingendo a cercare, piuttosto, una grandissima staticità. Chi affronterebbe l'altissimo rischio di disoccupazione per inseguire la propria realizzazione lavorativa e personale oggi? In fondo mia nonna me lo diceva sempre "piuttosto che niente è meglio piuttosto", e proprio per questo la mia generazione è costretta, nel migliore dei casi, ad aggrapparsi al primo simil-lavoro capitato, anche a discapito di tutto il resto. Altro che libertà di scelta.