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giovedì 31 marzo 2011

Far girare l'economia

Ecco. 
Visualizzo lo stato del mio conto corrente e c'è. 
è lì, scritto nero su bianco. 
Chiaro ed inequivocabile.
Il mio primo stipendio è arrivato! 
Ok, è solo una piccola quota, mi hanno pagato queste prime due settimane di lavoro, ma l'impatto emotivo e simbolico è comunque molto alto.
è sempre più ufficiale, sono una lavoratrice. 
Ho dei soldi miei miei. Soldi che nessuno mi ha regalato per compleanni, lauree o (come dice ancora mia nonna) per prenderci un gelato. 
Soldi che non mi hanno passato i miei genitori per disporne più o meno liberamente. 
No. Questi sono soldi miei miei, dall'inizio alla fine. Me li sono guadagnati e ora devo solo pensare a come rimetterli in circolo. 
Perchè me lo hanno insegnato già un sacco di tempo fa, bisogna far girare l'economia! E ora io sono diventata a tutti gli effetti una consumatrice matura, adulta ed indipendente.
Quindi che ci compro con questa prima parte di stipendio???Vestiti? (magari per andare in ufficio..), cibo buono sano, gustoso e finalmente non più quello da universitario fuorisede che cerca le sottomarche anche alla lidl, per risparmiare??Un viaggio? (si e quando lo faccio se sono sempre in ufficio e devo ancora maturare le ferie??). 
Potrei essere buona e generosa, e condividere un po' almeno questo mio primo stipendio. Potrei fare regali (per la prima volta con soldi miei miei) a mamma e papà, a mio fratello, al ragazzo...e qualcuno anche a me. 
Si. Potrei. Saremmo tutti più felici. Chi riceve il regalo, chi lo fa e si sente un po' più ricco del solito, visto che può farlo, e questa povera economia italiana, dai, facciamola girare un po'!
Si, potrei. 
O è meglio risparmiarli ed accumulare? Spendere ancora meno di prima e iniziare a riempire un piccolo deposito personale, alla Paperon de Paperoni? 
In fondo anche il risparmio ha un'etica, pare un po' svalutato ormai, pare un po' una cosa da vecchi, ma anche la nostra cara Costituzione ci dice che

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme ".

Spendo e spando o risparmio?Quale scuola di pensiero seguo? La cicala o la formica?
Mah...a questa povera economia italiana devo proprio pensarci io?o magari può provare a farla girare qualcun altro? 
Anche perchè mi sono appena resa conto che, nonostante mi senta così ricca ed indipendente, se i miei genitori non mi aiutassero con l'affitto della mia stanza, ci sarebbe ben poco da far girare, e che forse ero più ricca da studentessa che da lavoratrice...

venerdì 25 marzo 2011

Il lavoro nobilita l’uomo (?)

Il lavoro non serve solo a guadagnarsi il pane, ma, si dice spesso, serve a realizzare l'uomo,  a nobilitarlo, a gratificarlo, a dare un senso ad una vita. Io ci credo. Ho sempre pensato che se dovessi mai vincere al superenalotto, mi cercherei comunque un lavoro. Magari part time, sicuramente con la sicurezza di poterlo lasciare quando voglio, ma comunque vorrei lavorare. Per realizzarmi, appunto. Per fare qualcosa che mi piace, impegnarmici e avere delle soddisfazioni. 
Certo, quando non si è miliardari però, tutto si complica.
Si hanno meno possibilità di scelta, ci si deve accontentare ed adattare, e, forse, si perde di vista l'obiettivo di un lavoro soddisfacente, in cambio di un lavoro unicamente redditizio.
Infatti pare che un lavoratore su quattro in Europa sia insoddisfatto del proprio lavoro (e io pensavo fossero pure di più!). Come al solito le cose sono molto diverse da paese a paese, e, come al solito, le cose sono molto migliori al Nord: Danimarca, Finlandia, Austria, Germania e Slovacchia sono i paesi con la percentuale di intervistati più soddisfatta della propria situazione lavorativa. In Italia invece siamo superiori alla media europea di insoddisfazione, con il 27% dei lavoratori che ritengono di non avere una posizione coerente e consona con i loro studi, la loro formazione e con i loro desideri.
E come sempre, purtroppo, la situazione è molto eterogenea anche in base alle diverse generazioni, con i più giovani che sono molto più insoddisfatti della loro situazione lavorativa.
Ma alla fine di questa analisi, a cosa serve il lavoro?
Davvero è uno strumento di realizzazione dell'uomo?forse non sarebbe meglio trovare altri momenti di realizzazione?
Mai come in questi primi giorni di esperienza lavorativa sono stata così indecisa sulla mia visione della vita, e quindi anche del lavoro.
Vedo tutti i giorni persone (o visto che sono solo una stagista, potrei definirli semi-colleghi) che hanno consacrato, o così mi pare, la loro vita, o questa loro fase di vita, al lavoro. Escono tardi dall'ufficio, lavorano anche la sera a casa, se ci sono scadenze si fermano al lavoro fino a notte. Come saranno le loro vite?piene di soddisfazioni, di ambizioni, di successi. Anche io voglio essere così.
Poi il pendolo si sposta, e io vedo anche l'altra prospettiva. Arrivi a casa tardi e consumi tutto il tuo tempo lavorando, sei stressato, e sei a casa solo per dormire. é possibile in questo modo avere altri interessi, mantenere gli amici e le relazioni, avere una vita sociale?
Non so cosa voglio. O meglio, come al solito vorrei tutto, vorrei poter fare tutto e non rinunciare a niente. 
Voglio la botte piena e la moglie ubriaca. Voglio il lavoro esaltante e la vita sociale ricca. Almeno a 25 anni posso provarci?

lunedì 21 marzo 2011

Lavorare con lentezza

Lavorare stanca. C'è poco da fare. Eccomi qui a letto alle dieci e trenta di sera a soli 25 anni e dopo due soli  giorni di lavoro!
Ok, dovrò prendere il ritmo, mi dico e cerco di convincermi, ma in effetti bisogna ammettere che ormai ho saltato la barricata. Sono passata dall'altra parte. Ormai faccio parte del gruppo di quelli che "non posso uscire infrasettimanale", "non posso venire alla serata del Millennium di giovedì, o al Cassero il Mercoledì", "non posso prenotare voli ryan air a caso, che non sono più sempre libera", "piove, ma non posso rimanere a letto". E temo sempre di più per il prematuro declino della mia vita sociale.
E' uno sconvolgimento, un cambiamento epocale!Dopo anni e anni passati a lamentarsi della non indipendenza economica, del fatto di non essere autonomi, di dipendere ancora da mamma e papà, a pregustare con ansia il primo giorno del lavoro...inizio a vedere anche l'altro lato della medaglia!
Certo, sto aspettando con ansia la fine del mese per pregustare il mio primo vero stipendio e la soddisfazione di comprare qualcosa con dei soldi guadagnati da me, ma quali privilegi ho perso, perdendo il mio status di studente? Forse il mio desiderio di iniziare a lavorare per diventare finalmente autosufficiente ed indipendente era calcolato male, e oggi mi si è affacciato il dubbio di aver guadagnato (un po') l'indipendenza dai miei genitori, diventando però dipendente da qualcun altro. Se per prendere le ferie devo fare un summit con i colleghi, se non posso gestire i miei orari, se andare ad una visita medica può diventare un problema, perchè parliamo di indipendenza quando pensiamo al lavoro???
Dipende tutto dalle responsabilità che si hanno, dal proprio grado di workaholism, dalla bontà del proprio capo o da cosa?
E se fin da subito rinunciassimo alla competitività e iniziassimo tutti a lavorare con lentezza?Ci sentiremmo più felici, più realizzati, più padroni della nostra vita?


NOTA per i LETTORI: ok..questo post ha preso una piega un po' negativa, da lavoratore vicino all'anelata pensione, ormai stanco del proprio lavoro. 
Chiaro, non è il mio caso, e nonostante gli orari intensi e la stanchezza fisica che sta eliminando la mia vita sociale, sono contenta di buttarmi in questa nuova esperienza. Le riflessioni di oggi sono nate dalle prime, importanti, rinunce che ho dovuto fare visto che lavoro ed ho certi orari e certi impegni. E mancare alla proclamazione di una delle tue storiche  compagne di università e del tuo ragazzo non è una rinuncia da poco... :(
Vi penso da qui! 

venerdì 18 marzo 2011

Chi lascia la strada vecchia per la nuova...

Sa cosa lascia ma non sa cosa trova. La saggezza popolare lo aveva già capito un sacco di tempo fa, è un concetto facile ed immediato: i cambiamenti non sono già di per se un rischio?non sono un potenziale peggioramento della nostra situazione? E pensandoci la tradizione ha sempre rimarcato il concetto con un altro detto famosissimo "passare dalla padella alla brace". Allora, forse, non è meglio stare fermi e rinunciare a qualsiasi azione?mantenere lo status quo? Cosa spinge invece gli uomini, imperterriti, a darsi da fare, a lottare, a viaggiare, a traslocare, a fare fatica, adattarsi e poi magari vincere?
In questi giorni di piccoli cambiamenti (per me) rifletto molto spesso anche su grandi cambiamenti che altri sono costretti a fare. Io mi trovo ora in un'altra regione e in un'altra città, e già mi sento un "piccolo cervello in fuga" in erba, e sto sperimentando, di nuovo, sulla mia pelle la difficoltà di cambiare ed adattarsi a cose nuove. 
Sarà per questo che sto provando a calarmi nei pensieri, e forse nelle paure, di un ipotetico cervello in fuga, di un vero cervello in fuga, uno che deve cambiare Stato o magari continente per poter fare quello che sogna nella vita, per coltivare le sue ambizioni e molto spesso per raggiungere grandi risultati.
Muoversi, trasferirsi, cambiare ambiente, cambiare abitudini, cambiare alimentazione, abbandonare i parenti, gli amici, gli affetti: ne vale la pena? Quanta convinzione e ambizione deve sostenere queste persone? Saranno molto motivate, sicure, convinte delle loro possibilità.
E se provassimo a cambiare ottica? Magari queste persone non sono mosse soltanto da grandi ambizioni, ma dalla frustrazione di non poter fare niente nel loro paese, dall'assoluta immobilità che li circonda. E non potendo fare altro scappano. 
Uh. Detta così suona più come una sconfitta per l'Italia (per noi e forse anche per loro) piuttosto che una grande realizzazione per loro.
Ecco un po' di dati..  
"I dati disponibili non consentono di stimare con precisione quanto sia la perdita annua, ma è verosimile ritenere che nei quattro anni, dal 1996 al 1999, hanno lasciato il paese 12 mila laureati, in media 3 mila all’anno. Nel 2000, il tasso di espatrio dei laureati si attestava al 7%. Secondo una recente ricerca dell'Icom, solo riguardo ai proventi da brevetto, l'Italia avrebbe perso circa 4 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. Inoltre, «il 35 per cento dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il Paese; fra i primi 100 è addirittura uno su due a scegliere di andarsene perché in Italia non riesce a lavorare» nonostante, secondo Andrea Lenzi, Presidente Consiglio Universitario Nazionale, «i nostri ricercatori possiedano un indice di produttività individuale eccellente»

giovedì 17 marzo 2011

Piccole certezze, grandi sicurezze

Trasferirsi è sempre difficile e traumatico. Anche nell'esaltazione di un nuovo inizio c'è sempre, almeno per me, una punta di timore, nostalgia, malinconia, fastidio. Niente di terribile, ma quanto detesto essere senza una casa!e la fatica tutte le volte di doverne cercare una!ed imparare a conoscere le zone della città, valutare  le metrature, i possibili coinquilini, le distanze. Non so se a qualcuno questa fase piaccia. A me no. 
Eppure, anche in queste piccole difficoltà, ci sono piccoli accorgimenti o salvagenti che possono aiutare.

Oggi mi sono resa conto che uno dei miei salvagenti per i 
nuovi inizi è l'Ikea!  
A parte che in qualsiasi Ikea si entri sembra sempre di entrare nella prima Ikea che si è conosciuti (per me quindi andare all'Ikea sarà sempre come essere a Casalecchio di Reno), e poi quante certezze possiamo riporre in questo negozio!Mi mancano cuscini, coperte, lenzuola, piumone, lampade, specchi, poster : vado all'Ikea. La camera è grigia, spenta, non mi appartiene: vado all'Ikea. Voglio candele, pupazzi, cose che mi facciano sentire a casa: vado all'Ikea.
Bello riuscire con due tocchi di colore a creare già un ambiente un po' più tuo!
Il mio criterio futuro per eventuali trasferimenti sarà: solo in una città dove ci sia Ikea!

mercoledì 16 marzo 2011

Paura, Terrore..


Fermi tutti. Si inizia.
Anche una neolaureata può essere selezionata per uno stage in una grande (grandissima) azienda internazionale, dove pare vengano selezionati solo economisti ed ingegneri..
Dopo l'esaltazione iniziale, la paura e il terrore. e nel mio caso tante tante paranoie...fino al pensiero-limite "magari mi hanno chiamata per sbaglio, non volevano me!"
E invece no. Fiducia in se stessi, pochi giorni per assimilare e ciak si gira!
Sarò all'altezza?farò bella figura?si pentiranno di questa scelta?
Tutti gli inizi sono difficili, ma questo non è solo un inizio, è proprio un salto della barricata, un cambiamento di status, una nuova casella da annerire nei questionari!
In un momento, il tempo di una telefonata, si passa dallo status di inoccupato (disoccupato, in cerca di I occupazione, senza lavoro..)a quello di simil-lavoratore. 
In fondo uno stage retribuito è quasi un lavoro, no?
Dopo gli stage-fuffa dell'Università, in cui non sei pagato, non sei seguito, non lavori, sei un po' abbandonato a te stesso, uno stage retribuito è un grandissimo passo in avanti nella carriera dei quasi lavoratori..in fondo, se si viene pagati si ha la certezza che un lavoro te lo faranno fare, che quindi ci si formerà e così dopo alcuni mesi ci si sarà lavati dalla terribile macchia di neolaureati.
Quindi concentrazione, pronti, via!
Sperando di non passare in un solo colpo da stage-fuffa a stage-schiavitù!




martedì 8 marzo 2011

W le donne (ma solo l'8 marzo)

Visto che oggi è la festa della donna mi sento in ferie e non farò la fatica di scrivere un post (scontato forse) su donne e mondo del lavoro. Tanto la situazione la conosciamo già tutti e tutte, e ce la raccontiamo sempre. 
Le donne sono più brave a scuola e all'Università. Ma per le donne è più difficile trovare lavoro. Ma per le donne è più difficile trovare lavori dirigenziali e più qualificati. 
La legge dice che le discriminazioni sul mondo del lavoro sono vietate. Ma non è così. 
L'esperienza insegna che nei paesi più civili, più evoluti e più ricchi, una parte della ricchezza è prodotta dalle donne. Ma in Italia non si è ancora capito, e in quanti credono che sia meglio se le donne fanno gli angeli del focolare? 
L'europa ci chiede di arrivare almeno al 60% di donne che lavorano. Ma in Italia siamo molto lontani da questo obiettivo.
Ecco alla fine il post l'ho scritto, ma visto che mi sento in vacanza termino con delle parole non mie, e visto che gli elenchi vanno tanto di moda prendo a prestito l'elenco usato dalla Camusso nella trasmissione "Vieni via con me".
 
Io sono l'invisibile.
Durante la notte o all'alba, pulisco il luogo dove lavorerai.
Curo la vita e la morte, mi chiamano badante,
sono prigioniera di un permesso di soggiorno.
Ho firmato un foglio di dimissioni in bianco. Previene la gravidanza.
Cerco lavoro. Meglio nascondere laurea e master, giuro
di non avere specializzazioni.
Corro a casa, ma la pizza con il mio capo era necessaria per la carriera.
Guardo la fabbrica e so che il mio lavoro è in Serbia.
Invento, ricerco. Aspetto un biglietto aereo per l'estero.
Curo, accudisco, lavo, stiro e tanto altro: chissà se è un lavoro.
Sono nata nel sud, posso scegliere tra ubbidire o emigrare.
Avevo un lavoro, poi hanno abolito il tempo pieno a scuola.
Rispondo a un annuncio di lavoro: sarò abbastanza carina? ed abbastanza
giovane?
Passo le ore ad una cassa, sorrido. Ma non era domenica?
Quanti asili si possono fare con i soldi del Ponte sullo Stretto di Messina?
Sono un dottore. Non sono un primario.
Quando lavoro produco lavoro, potete spiegarlo ad economisti e governanti?
Ho inventato nuove professioni.
Ho conquistato le otto ore.
Ho conquistato il tempo del matrimonio, della maternità, dell'allattamento.
Ho conquistato il diritto di sentirmi uguale nel lavoro, restando indifferente.
Felice il giorno in cui non dovrò conquistare niente di più,
staranno meglio anche gli uomini.


Susanna Camusso,
Segretario Generale CGIL

mercoledì 2 marzo 2011

Il Decalogo per affrontare un colloquio

Arriva la fatidica telefonata... dopo milioni di invii del tuo bellissimo, e quasi vuoto, curriculum, finalmente il telefono squilla e ti fissano un colloquio.
A questo punto una breve ricerca sul web mi regala subito una quantità impensata di consigli utili per il colloquio, solo che questi brevi consigli, che a volte sono anche in contraddizione l'uno con l'altro, mi provocano subito quell'agitazione che ancora non si era manifestata..


Insomma, che è il caso di arrivare puntuali lo capivo da sola e non è un consiglio così prezioso alla fine. 
Ma le 20 righe per spiegarmi per filo e per segno il comportamento del corpo e la comunicazione non verbale mi hanno, onestamente, stupita. 

Cito un sito di una nota associazione di imprenditori: L'occhio viene attirato dal colore dei vestiti e dal movimento del corpo. L'orecchio viene attirato dal rumore della voce. Ah bè, allora, questa si che è una svolta! A parte che sembra una massima zen, ma poi in fondo non ci vedo un gran significato, e potrei anche aggiungere che il naso viene attirato dal profumo che hai!Infine l'ultimo preziosissimo consiglio di questo sito è quello di non alzarsi per primi alla fine... certo, questo sarà fondamentale!
Il tono dei magici consigli e delle perle di saggezza è un po' questo dappertutto, arriva puntuale, se sei in ritardo avverti, sii pulito ed ordinato, non fumare, non mangiarti le unghie, manca solo non dire parolacce e metti la canottiera che abbiamo lo stesso decalogo che recitava sempre mia madre quando ero piccola!
Insomma dai, questi non sono consigli, ma regole di buona educazione!Ho 25 anni, non ho vissuto come una eremita fino adesso, non ho esperienze lavorative, ma al fatto che se arrivo tardi, puzzo e impreco per tutto il colloquio, non faccio una buona impressione, ci arrivavo anche da sola!
Forse tutti questi consigli sono così fumosi perchè delle regole non ce ne sono... sarà che ogni colloquio è una storia a sè?sarà che dipende da chi è l'esaminatore?sarà che ci vuole un gran culo?
Alla fine l'unica vera domanda secondo me è "Devo essere me stessa?". Cioè, ai colloqui non rischiamo di dire un po' tutti le stesse cose?di quanto siamo motivati a lavorare per quell'azienda (e magari abbiamo inviato il curriculum a tutto l'elenco telefonico), di quanto siamo flessibili e pronti al confronto e ad apprendere ecc ecc
E gli esaminatori non si sentono raccontare la stessa pappardella da tutti?Come faranno a fare una valutazione?Di cosa terranno conto?
Forse è necessario stupire...allora direi che il consiglio migliore (o almeno il più simpatico, e giuro che se qualcuno lo fa, gli pago da bere!) è quello che mi ha dato, un po' in gag, un amico.. "sii carica ed un po' arrogante, fai vedere che sei motivata. Se ti chiedono dove ti vedi fra 5 anni, rispondi: credo che sarò il suo capo!!!"
MITICO. faccia tosta e via, e se non ti assumo, sai almeno che bell'aneddoto da raccontare agli amici???