Pagine

giovedì 30 giugno 2011

La legge del contrappasso

Le mie amiche lo sanno, sarà una reminiscenza dei miei studi classici, ma io sono una fautrice della teoria del contrappasso, e soprattutto della sua applicazione alla vita sentimentale. 
Ho passato anni ad interpretare ogni mia storia e vicenda sentimentale, e tutte quelle delle mie amiche, più o meno strette, in quest'ottica. La teoria del contrappasso è molto semplice, e racchiude in sè un'idea di karma cosmico e di giustizia divina,  in fondo molto rassicuranti.
Il succo della teoria è molto facile: quello che fai ti tornerà indietro, attenta ai tuoi comportamenti perchè prima o poi li subirai. La mia vita mi ha fornito innumerevoli riprove di questa legge karmica: la prima volta ho lasciato, la seconda sono stata lasciata, ho trascurato un ragazzo e nella storia dopo sono stata trascurata. Anche le vite delle mie amiche mi hanno fornito spunti molto interessanti: chi rincorreva poi veniva rincorsa, chi se la tirava è poi diventata donna zerbino, chi si lamentava della troppa bontà e gentilezza del ragazzo ha poi conosciuto solo stronzetti, chi ha tradito è stato tradito. La teoria è ormai nota e, almeno per me, quasi scientificamente dimostrata. E oggi ho avuto una profonda illuminazione. 
Questa legge governa tutto l'universo, non solo le questioni di cuore!
Anche il mondo del lavoro è influenzato dal contrappasso... dunque cercate di stare attenti alle mie spiegazioni e di prendere appunti: in una situazione lavorativa ed occupazionale sempre più tragica per questo paese bisogna tenere conto di tutto, anche delle stelle e del destino!
Martedì sera, giorno prefestivo a Roma, visto che il 29 era il patrono, mentre ero già sulla soglia, il capo mi ha richiamata e mi ha chiesto se volevo fare il ponte.. io, scema, ho rifiutato. Ho pensato che ero indietro con alcuni lavori, che ero già d'accordo di fare delle cose con altri colleghi, ho riflettuto che il grande capo in fondo non è sempre al corrente di quello che facciamo e che magari non si era reso conto che sono molto impegnata in questo periodo. E oggi sono tornata al lavoro, polla come al solito. 
Sono tornata al lavoro e ci sono stata dalle 9.00 alle 21.00, e domani mattina devo entrare mezz'ora in anticipo per finire delle urgenze improvvise. è il karma ragazzi, mai rifiutare delle ferie: hai snobbato questa possibilità?e ora ti tocca iperlavorare.. I miei colleghi me l'hanno confermato. mai lasciarsi scappare queste occasioni quando ti si presentano. è la prima lezione da imparare, e io oggi l'ho decisamente imparata!

lunedì 27 giugno 2011

L'abito non fa il monaco

Ho già scritto dell'importanza dell'abbigliamento sul posto di lavoro, e dell'ansia di essere sempre adeguatamente vestiti in ufficio, ed ho già scritto che l'ansia da abbigliamento prende già ai colloqui, mischiata all'ansia generale di fare buona impressione su tutto... Possono sembrare considerazioni scontate, visto che è ovvio dire che è importante dare una buona impressione di sè, e che quindi andare ad un colloquio vestiti bene è importante per non sfigurare. 
Eppure io continuo a riflettere.
Non credevo che l'elemento estetico potesse diventare un serio criterio di scelta e di selezione per un lavoro. 
E se invece fosse proprio così?
Già a due colloqui diversi mi è stato detto che ho "presenza" e a partire da questa parolina ho iniziato a riflettere.. Presenza, bella presenza, che si intende? Ho scatenato il dibattito di un intero pranzo domenicale in famiglia sull'interpretazione di questa frase e di questo episodio. Bella presenza è sinonimo di bellezza? 
Mi è stato detto, seppur in modo un po' più delicato e discreto, che uno dei punti a mio favore nella scelta è che sono carina? oppure per bella presenza si intende semplicemente il modo di porsi, di parlare, di sorridere, magari anche di essere vestiti, cioè l'idea che si dà di sè complessivamente?
Sarà un caso se tutte le mie colleghe sono molto carine? sarà un caso se nessuno nel mio ufficio ha kili di troppo o evidenti difetti fisici? Se la selezione, forte e rigida, a cui siamo stati tutti sottoposti per essere scelti (max 26 anni, minimo 110 come voto di laurea, gradite esperienze all'estero, lingue straniere, test ed esami e almeno tre step di colloqui da superare) avesse riguardato anche, in parte, il nostro aspetto esteriore? Magari non è necessario essere belli secondo i canoni tradizionali, ma almeno piacevoli alla vista e ben vestiti si. Ed ho sentito io stessa commentare i colloqui di potenziali nuovi stagisti, basandosi sull'abito che indossavano: chi troppo scuro, chi troppo casual, chi troppo elegante, chi troppo poco. 
Certo nessuno dice che l'abito sia determinante nella scelta, ma io inizio a raccogliere indizi e a sospettare..
Perchè l'abito non fa il monaco, ma a volte porta ad un contratto.

giovedì 23 giugno 2011

La partita doppia no!

I colloqui sono un po' come gli esami: ci si sente sotto giudizio, si teme il loro esito, si è in agitazione e si ha paura di non saper rispondere. 
Solitamente però i colloqui non sono così nozionistici, non si deve dare la risposta giusta ad un qualcosa su cui ci si può preparare, ma bisogna dare una buona impressione di sè e delle proprie potenzialità.
Era ciò su cui io contavo.. Ma non va sempre a finire così..
Per una persona estroversa, abituata a parlare in pubblico e con una buona proprietà di linguaggio ed anche un buon curriculum, come nel mio caso, non è così difficile superare un colloquio motivazionale. Ma una vera e propria interrogazione, come in sede d'esame è un'altra cosa!soprattutto quando si deve fare un test su argomenti MAI studiati.
E allora non c'è motivazione né parlantina che tenga. Carta canta, ed un test consegnato in bianco, purtroppo, canta parecchio.
Superato lo shock iniziale per la figuraccia e per la delusione mi faccio un po' di domande...
Visto che il responsabile delle risorse umane pare essere un mestiere molto in voga, mi chiedo, qual è il compito di chi ha questo ruolo, se non quello di selezionare curricula adeguati alle figure che si sta cercando?!?
E allora perché vengo chiamata io, povera laureata in scienze politiche, per una posizione da assistente revisore contabile?
Perché devo subire l'umiliazione di trovarmi di fronte ad un test di contabilità, quando dal mio curriculum è evidente che è una materia che non ho mai studiato??
Mi sa che inizierò a rispondere anche agli annunci in cui di cerca esperti in risorse umane,tanto se si tratta di convocare indiscriminatamente tutti i candidato che hanno inviato un cv per qualsiasi posizione, dovrei essere in grado. E nel frattempo medito di chiedere i danni morali e materiale al settore recruitement di questa grande multinazionale..e no, non mi metterò a studiare la partita doppia a 25 anni, finora sono sopravvissuta anche senza.
..

martedì 21 giugno 2011

Il cazzeggio è lecito?

Ogni tanto al lavoro capita di non avere niente da fare. 
A qualcuno capita più spesso, ad altri quasi mai; In alcuni lavori è la norma e per altri è un'eccezione, ma prima o poi a tutti è capitato di stare davanti al proprio monitor senza un'occupazione precisa. Il lavoro è pesante anche per questo: è una costrizione, che ci impedisce di disporre liberamente del nostro tempo, e del nostro spazio, anche quando non ci sono scadenze od urgenze. Certo, alcuni lavori sono più flessibili di altri. Chi deve timbrare il cartellino, chi si rapporta ad una clientela, chi ha dei turni, non potrà mai organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro come meglio crede. Se si finiscono i propri incarichi in anticipo, se il capo non ci assegna nulla, se insomma non c'è niente da fare, ci si ritrova costretti a leggere il giornale, controllare la propria posta, pianificare le vacanze, fare scorrere il tempo fino all'agognata campanella di uscita. Proprio come al liceo.
Un lavoratore che si ritrovi in questa situazione, lo definireste un fannullone? Un addetto ad un ufficio informazioni, che non abbia nessun utente di fronte e che legge la gazzetta dello sport, sta rubando il suo stipendio? 
Insomma al lavoro, entro certi limiti ed in certe situazioni, è lecito e tollerabile cazzeggiare?
La questione si pone anche per lavori un po' più flessibili nell'orario. Chi ha la libertà di organizzare il proprio tempo e il proprio lavoro, senza il vincolo così rigido di un cartellino da timbrare, perchè si riduce, a volte, a cazzeggiare per far passare il tempo, senza più nulla da fare?
A volte in un ufficio, o in un gruppo di lavoro, sembra difficile essere il primo a staccarsi ed alzarsi dalla sedia, "denunciando" così di essere stanco, di non essere abbastanza dedito alla causa, o di non avere nulla da fare. Anche nei lavori con orari flessibili, l'uscita prima di un certo orario è mal tollerata o malvista, e così ci si riduce a navigare su internet, aspettando che un collega ceda per primo, scatenando il fuggi fuggi generale. Ma quanto sarebbe più intelligente, più produttivo e più logico dire, "oggi ho finito, vi saluto" ed andarsene a prescindere dall'ora? Perchè negli ambienti di lavoro in cui si ha un orario flessibile, alla fine si accetta la flessibilità solo quando questa comporta un ritardo nell'uscita?
In questo modo non si obbliga le persone a stare ferme sedute davanti ad uno schermo, senza nulla da fare, ogni tanto, e spingendole quindi al cazzeggio?
Mi autodenuncio: io al lavoro cazzeggio. O perlomeno è capitato, e credo che sia abbastanza normale, soprattutto all'inizio, non essere sempre oberata di consegne, quindi piuttosto che fissare uno schermo vuoto, mi faccio un po' i fatti miei, soprattutto visto che se uscissi dall'ufficio ad un orario decente (facendo comunque 8 ore al giorno) sarei guardata male.
Oggi però mi sono accorta che non sono l'unica, e che anche colleghi e superiori cazzeggiano, sempre con l'accortezza di avere una faccia assorta e super concentrata, ed apparentemente lavorativa, facendo passare i minuti, in attesa che arrivi un orario ritenuto accettabile per andarsene.. 
Siamo lavoratori fannulloni, o questa è un'altra contraddizione del mondo del lavoro?

mercoledì 15 giugno 2011

Io sono la peggiore Italia

Era scontato scrivere un post sull'allucinante dichiarazione del ministro Brunetta.


Era scontato ma lo faccio lo stesso, perchè non mi sembra il caso di tirarsi indietro. 
Forse basterebbe solo una riga per commentare, senza sprecarsi troppo. Forse basterebbe scrivere che è una vergogna e che chiediamo le sue dimissioni. Lo stanno già scrivendo e dicendo in tanti, ma non credo che lui si vergognerà nè si dimetterà. In fondo il suo capo ci ha abituato a questo e anche a peggio, e il caro Brunetta ha già imparato anche a ribattere, come il suo capo, "sono stato frainteso, è colpa dei giornalisti comunisti e oltretutto precari". 
E così la precarietà diventa anche una colpa, un simbolo di cattiveria e di meschinità, non più soltanto una sfiga o una condizione ineluttabile a cui cercare di resistere. Sei un precario e mi fai schifo. Sei precario, peggio per te, te lo meriti.
Oggi abbiamo quindi scoperto di essere l'Italia peggiore. Brunetta voleva insultarci, ma in fondo ha detto un po' di verità. Si, siamo l'Italia che ha le condizioni di lavoro peggiori. Siamo l'Italia con le prospettive di futuro peggiori. Siamo l'Italia con le peggiori sicurezze e certezze. Siamo l'Italia dei peggiori contratti e delle peggiori garanzie. Forse intendeva questo il signor Ministro?
E allora cosa dire di un governo e di un ministro che, davanti a tutto questo "peggio", non fanno niente, non propongono soluzioni, non si interessano e non mostrano neanche un minimo di rispetto, ma continuando a dichiarare, nonostante le batoste elettorali, che la priorità del paese è la riforma (distruzione) della giustizia? 
Chi ci ha portato a questo peggio??

domenica 12 giugno 2011

Facebook or not?

La vita dei giovani, e non solo, pare essere sempre più ancorata ai social network, Facebook in primis, causando anche una serie di ripercussioni, a volte molto serie, sull'ambito lavorativo.

I problemi con Facebook iniziano molto presto, già dalle selezioni degli aspiranti lavoratori, infatti, gli uffici risorse umane, soprattutto di grandi aziende, svolgono alcune ricerche preliminari su internet, ed, ovviamente sui social network. Ed è inutile indignarsi o sbandierare la nostra privacy, visto che si è scelto volontariamente di scrivere e mettere materiali, magari privati, on line, e quindi alla mercé di tutti.
è possibile evitare che il proprio futuro capo veda foto di sbronze, di vacanze, di goliardate post laurea, nonchè conosca tutti i nostri flirt, ragazzi, amici, gusti, ed orientamenti? 
Ci sono un po' di accorgimenti, primo di tutti controllare con attenzione le proprie impostazioni sulla privacy. Quanti sprovveduti credono che abbiano accesso ai contenuti del proprio profilo solo gli amici! Ebbene no, è necessario specificarlo nelle impostazioni! 
Il secondo accorgimento, che nel momento della ricerca del lavoro, anche io ho adottato, è quello di scegliersi uno pseudonimo o un soprannome, anche se ufficialmente Mr. Fb dichiara che ciò non sia possibile. 
Infine potrebbe essere una bella idea anche accettare fra i propri amici solo reali conoscenti e non svelarsi troppo online. Sembrerò paranoica, ma io ho cercato di fare tutti ciò, dal momento che non mi pareva carino presentarmi al primo colloquio con la nomea, di già, di sinistroide ubriacona! 
E tutti questi consigli potrebbero anche aiutarvi, non solo ad ottenere un lavoro, ma anche a difendervi da potenziali guardoni, maniaci ed ex ossessivi.
I problemi però non si fermano al momento della selezione. Una volta entrati in un nuovo ufficio, infatti, è necessario decidere che fare... aggiungere o accettare su Facebook i nuovi colleghi? 
Magari sono giovani e simpatici, magari facebook può essere uno strumento utile per sentirsi ed organizzare eventi aziendali, ma il mio consiglio è quello di rimanere saldi: respingere ogni contatto, quasi come se si trattasse di un contagio. Un solo collega aggiunto potrebbe infatti provocare la catastrofe: pian piano si verrebbe individuati da tutti, anche da quelli noiosi, competitivi, o antipatici, e prima o poi potrebbe succedere di dover diventare amici anche del proprio capo. Aggiungerne anche uno solo è l'inizio della fine: non cedete!
Avere su Facebook i colleghi, o peggio, il proprio capo, può infatti causare notevoli problemi, non soltanto un po' di imbarazzo per questa invasione della privacy. Aumentano ogni giorno i casi di contenziosi fra le aziende e i loro dipendenti che avevano sparlato del datore di lavoro sul social network e a volte questi contenziosi si sono conclusi con il licenziamento. 
Come se non bastasse è pericoloso anche usare facebook in ufficio, alcuni dipendenti di un comune in provincia di Forlì sono stati accusati di peculato perchè pare utilizzassero i pc del lavoro per aggiornare i propri profili.
Internet, che sembra essere sempre di più uno strumento indispensabile nella ricerca del lavoro, a volte può anche farcelo perdere. 
E se i miei colleghi ed il mio capo, nonostante le mie precauzioni, dovessero diventare mie amici su Facebook, sappiano che tutto ciò che scrivo su questo blog è di fantasia, e eventuali somiglianze a nomi, fatti o persone è puramente casuale! ;)

mercoledì 8 giugno 2011

Tu sei troppo per me

Tu sei troppo per me, un classico nel repertorio delle frasi delle storie d'amore. Un classico soprattutto per troncarle, le storie d'amore.
A chi non è mai successo di sentirsi così, o di temere che il proprio partner si sentisse così?
A chi non è mai successo di consolare un'amica che si è sentita lasciare con questa assurda scusa?
"Io non sono all'altezza, tu sei troppo per me..."


Ci sono film, canzoni, libri e poesie che raccontano episodi legati a questa frase.
"Tu sei troppo per me" è ormai deventata un topos, uno stereotipo.
A quanto pare, però, questa scusa è in voga anche nel mondo del lavoro, non solo negli affari di cuore.
E quindi, ai giovani disperati in cerca di lavoro, capita anche di sentirsi dire, tu sei troppo per me, troppo bravo, troppo qualificato, troppo specializzato, e anche troppo giovane (ma per quest'ultimo è un'altra storia).
Cornuti e mazziati.
In un mondo in cui si parla di formazione continua e in cui l'Europa, e quindi anche l'Italia, dice di ambire a diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo (ma attenzione, avremmo dovuto farlo entro il 2010), capita anche di sentirsi dire che si è troppo preparati. 
Prenderlo come un complimento? o prenderlo come un insulto?
è un riconoscimento della mia preparazione e del mio profilo o è una scusa per rifiutarmi, proprio come in amore?
Troppo è una parola pericolosa.. in una sola parola tutto il senso di un'intera conversazione è stato stravolto.
"Complimenti per il suo curriculum dottoressa, lei è veramente giovane ma ha già un sacco di esperienza ed è molto qualificata" - a questo punto è naturale gioire, sorridere, ringraziare e pensare di avercela fatta. "anzi, è fin troppo specializzata per noi, siamo una piccola realtà e qua un alto profilo come il suo sarebbe sprecato". ah. quindi è un rifiuto.
Si fa fatica a digerire un rifiuto così, proprio come in amore, e non si riesce a farsene una ragione. Non si sa come reagire, in fondo ti hanno fatto i complimenti, ti hanno detto che sei brava, in fondo sono stati carini. Anche se hanno disprezzato la mia istruzione, i miei sacrifici, il mio impegno, il mio studio. Sono cose di cui dovrei forse vergognarmi? Sono cose che dovrei cancellare dal mio curriculum e tenere nascoste? 
è una sensazione strana. dolceamara. che ti lascia basita e perplessa.
Io ho deciso. La conversazione di oggi la prenderò come un complimento, come una dimostrazione del fatto che ho un buon curriculum, voglio continuare ad essere fiduciosa ed orgogliosa del mio percorso. Se dovesse ricapitare, però, inizierò a togliere voti, allungarmi gli anni di studio fuoricorso e nascondere tirocini ed esperienze all'estero.
Sperando che, come in amore, nel frattempo arrivi un lavoro che si reputa alla tua altezza, e che tu reputi nello stesso modo. Il principe azzurro insomma, cioè il lavoro azzurro.

venerdì 3 giugno 2011

In scadenza


Non parlo del latte in frigo, nè delle mozzarelle, nè della verdura che compro sempre in abbondanza per farla appassire, nè di tutto il resto. Questa volta il prodotto in scadenza sono io, o meglio, il mio contratto.

è dal primo giorno di lavoro che, mentalmente, faccio il conto. Fra tre mesi mi scade il contratto, fra due mesi finisco, ormai mi conoscono, mi diranno a breve qualcosa, fra un mese termino, ora mi parleranno... e invece siamo arrivati a meno 12 giorni, di cui solo 8 sono lavorativi, e non so ancora niente.
Sarà una strategia dell'azienda, o sarà che non mi vogliono più?
I colleghi ci scherzano e danno per scontato che mi verrà fatta l'offerta di rinnovo, almeno di un altro periodo di stage, in fondo non ho fatto troppi danni, ho imparato tante cose, in ufficio hanno sempre bisogno di una mano, ed insegnare tutto di nuovo a qualcun'altro sarebbe un grande sbattimento. Il capo invece sta muto. Non si pronuncia nè in un senso nè nell'altro.. E nel frattempo i miei buoni pasto per giugno non sono arrivati, cosa significherà? Perchè aspettare così tanto per decidere? O ancora peggio, se si è già deciso, perchè aspettare così tanto per comunicarlo?
In 8 giorni di lavoro cosa potrà mai succedere che faccia cambiare idea sul mio conto?
E se hanno già deciso, perchè non me ne parlano?perchè non pensano che sarebbe più corretto informarmi e permettermi di iniziare a programmare il mio futuro? Perchè farmi sentire così in balia delle onde, senza farmi neanche prendere in mano la situazione?Almeno se sapessi già che non avrò un rinnovo, potrei ributtarmi a mandare curricula, fare ricerche, fare colloqui. Così solo incertezza.
La mia situazione non è particolarmente critica. Fortunatamente ho ancora alle spalle la mia famiglia che mi aiuta, sono laureata da pochi mesi, e non mi aspettavo che questo fosse il lavoro della mia vita. In fondo mi ritengo già fortunata e privilegiata ad aver trovato questo stage retribuito, ma non troppo, appena laureata.
Però, nonostante non abbia mutui da pagare, nè figli da mantenere, la sensazione di essere in scadenza non mi piace per niente. E immagino già con terrore quante volte dovrò riviverla, con la consapevolezza che, crescendo, sarà sempre peggio.
E mi rendo conto che il lavoro e la ricerca del lavoro sta già diventando il mio chiodo fisso, l'argomento di conversazione che esce sempre, l'ossessione quotidiana. Parlo di colloqui, controllo le offerte di lavoro, consiglio proposte ai miei amici, mi immagino il mio lavoro ideale, sogno un'assunzione, desidero trovare il lavoro definitivo e lo vorrei qua a Bologna. Chiedo, mi sbatto e mi informo con tutti quelli che conosco. E ormai che sono entrata nel trip, lo faccio per me, per il mio ragazzo e per i miei amici. Non troverò pace finchè non saremo tutti sistemati. E purtroppo, vista la situazione, prevedo ancora tanti momenti d'ansia.
Quante volte ancora ci capiterà di dover aspettare per un rinnovo contrattuale? Quante volte ci sentiremo limitati nel chiedere ferie, malattie, fare scioperi, per non dare una cattiva impressione ed arrivare all'agognato rinnovo? Quanti contratti di tre mesi in tre mesi dovremo sopportare? E quante volte, invece, non avremo neppure quelli?
Almeno questa situazione mi sta insegnando ad essere più sensibile. Giuro che non comprerò mai più frutta e verdura in eccesso, giuro che non abbandonerò più cartoni di latte in frigo ad attendere il loro destino e prometto di mangiare tutte le mozzarelle in scadenza, prima che sia troppo tardi. 
In fondo tra simili bisogna essere solidali e darsi una mano, no??