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venerdì 18 marzo 2011

Chi lascia la strada vecchia per la nuova...

Sa cosa lascia ma non sa cosa trova. La saggezza popolare lo aveva già capito un sacco di tempo fa, è un concetto facile ed immediato: i cambiamenti non sono già di per se un rischio?non sono un potenziale peggioramento della nostra situazione? E pensandoci la tradizione ha sempre rimarcato il concetto con un altro detto famosissimo "passare dalla padella alla brace". Allora, forse, non è meglio stare fermi e rinunciare a qualsiasi azione?mantenere lo status quo? Cosa spinge invece gli uomini, imperterriti, a darsi da fare, a lottare, a viaggiare, a traslocare, a fare fatica, adattarsi e poi magari vincere?
In questi giorni di piccoli cambiamenti (per me) rifletto molto spesso anche su grandi cambiamenti che altri sono costretti a fare. Io mi trovo ora in un'altra regione e in un'altra città, e già mi sento un "piccolo cervello in fuga" in erba, e sto sperimentando, di nuovo, sulla mia pelle la difficoltà di cambiare ed adattarsi a cose nuove. 
Sarà per questo che sto provando a calarmi nei pensieri, e forse nelle paure, di un ipotetico cervello in fuga, di un vero cervello in fuga, uno che deve cambiare Stato o magari continente per poter fare quello che sogna nella vita, per coltivare le sue ambizioni e molto spesso per raggiungere grandi risultati.
Muoversi, trasferirsi, cambiare ambiente, cambiare abitudini, cambiare alimentazione, abbandonare i parenti, gli amici, gli affetti: ne vale la pena? Quanta convinzione e ambizione deve sostenere queste persone? Saranno molto motivate, sicure, convinte delle loro possibilità.
E se provassimo a cambiare ottica? Magari queste persone non sono mosse soltanto da grandi ambizioni, ma dalla frustrazione di non poter fare niente nel loro paese, dall'assoluta immobilità che li circonda. E non potendo fare altro scappano. 
Uh. Detta così suona più come una sconfitta per l'Italia (per noi e forse anche per loro) piuttosto che una grande realizzazione per loro.
Ecco un po' di dati..  
"I dati disponibili non consentono di stimare con precisione quanto sia la perdita annua, ma è verosimile ritenere che nei quattro anni, dal 1996 al 1999, hanno lasciato il paese 12 mila laureati, in media 3 mila all’anno. Nel 2000, il tasso di espatrio dei laureati si attestava al 7%. Secondo una recente ricerca dell'Icom, solo riguardo ai proventi da brevetto, l'Italia avrebbe perso circa 4 miliardi di euro negli ultimi 20 anni. Inoltre, «il 35 per cento dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca abbandona il Paese; fra i primi 100 è addirittura uno su due a scegliere di andarsene perché in Italia non riesce a lavorare» nonostante, secondo Andrea Lenzi, Presidente Consiglio Universitario Nazionale, «i nostri ricercatori possiedano un indice di produttività individuale eccellente»

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